Più conosciamo il DNA e più scricchiolano le vecchie certezze
darwiniane, Il Foglio, 17 marzo 2012, Carlo Bellieni
Ci hanno insegnato che dire DNA è
dire determinismo; ma la scienza ci mostra invece l’esatto opposto. Partiamo da
una ricerca svizzera pubblicata in questi giorni: trattare male i bambini
altera l’espressione del loro DNA con il serio rischio che queste alterazioni
diventino ereditabili. Questo inquietante scenario riguarda non solo i
maltrattamenti, ma anche gli insulti ambientali e fisici e ci apre ad una
realtà imprevedibile solo vent’anni fa: il DNA “riceve ordini” dall’ambiente e
potrebbe trasmetterli alle generazioni future! Il tutto regolato da una nuova
branca della biologia: l’epigenetica.
Attenti i dogmatici e i fan
dell’immobilismo: l’epigenetica (regolazione ad un livello superiore –“epi”-
dell’espressione dei geni) ci dice che se credevamo di arrivare a conoscere la
vita decifrando il DNA, ora ci sentiamo dei bambinetti presuntuosi: Il DNA
parla, ma è l’ambiente che lo fa parlare tramite una struttura ancora più
complessa, ancora tutta da decifrare. Il DNA parla in rapporto a quello che gli
chiede l’ambiente. Capite come cambia la prospettiva? Quello che siamo non è
“già scritto”, e quello che è scritto, può essere letto dalla natura in vari
modi. “Nella mente del pubblico, l’identificazione di geni responsabili di
malattie era un passo sulla via di una medicina personalizzata.
Sfortunatamente, si è mostrato essere un passo molto piccolo” spiega l’oncologo
Nahid Turan sulla rivista Epigenetics .
Per un pediatra, l’epigenetica è
l’uovo di Colombo: certi stimoli arrivati nel pancione o nei primi momenti della vita, “svegliano” o
“addormentano” dei geni. Ad esempio, se ai feti arriva meno nutrimento, questo
sveglierà dei geni che predispongono da adulti allo sviluppo dell’ipertensione
o del diabete. Se invece il bambino ancora in fasce riceve meno coccole –come
risulta da studi su animali- , la loro mancanza è in grado di addormentare dei
geni che prevengono lo stress. E queste attivazioni di geni si trasmettano alle
generazioni seguenti, tanto che se uno nasce dopo una carestia trasmette il
ritardo di crescita alla nascita alle generazioni seguenti.
I ricercatori italiani proprio in
questi giorni hanno pubblicato la loro importante scoperta in questo campo: una
proteina, Zfp57, che insieme ad altri fattori garantisce la conservazione dei
segnali epigenetici dall’embrione all’adulto: questo lasciar parlare o zittire
alcuni geni avviene infatti attraverso certe molecole che solo ora iniziamo a
conoscere.
Roba solo da scienziati? Mica
tanto. Pensiamo ad esempio alla fecondazione in vitro: avviene in vitro e non
nel pancione delle mamme, a contatto con le cellule della tuba uterina e con le
proteine che queste cellule producono. Può questo ambiente attivare o
disattivare dei geni in modo diverso da quanto farebbe l’utero materno? Essendo
malattie rarissime, ancora non lo sappiamo; tuttavia leggiamo che disordini
dell’imprinting, legati a modificazioni epigenetiche, “possono essere aumentati
in seguito alla fertilizzazione in vitro” (Best Pratice and Research, luglio
2007) Ma se l’ambiente influisce su come il DNA si esprime, e dato che
quest’influenza si eredita, si capisce come si apra una prospettiva verso nuove
frontiere evoluzionistiche: come diceva il chimico Enzo Tiezzi, l’evoluzione è
stocastica, non casuale, cioè è armonica con l’ambiente da cui riceve e cui dà
collaborazione. Le variazioni dell’ambiente non sono solo “selettive” di chi
“non è adatto”, ma anche indirizzano il DNA ad esprimersi in armonia con le
variazioni stesse, pur senza modificarne la struttura.
Eva Jablonka, genetista
dell’università di Tel Aviv, nel suo libro “Evoluzione a quattro dimensioni”
(UTET, 2009) sostiene, parlando dell’ereditarietà, che essa: “non ha a che
vedere soltanto con i geni; alcune variazioni ereditarie non sono casuali in
origine; certe informazioni acquisite vengono ereditate”. E aggiunge: “Simili
affermazioni rischiano di suonare eretiche alle orecchie di chiunque abbia
appreso sui banchi di scuola la solita versione della teoria evoluzionista di
Darwin secondo cui l’adattamento ha luogo attraverso la selezione casuale di
variazioni genetiche casuali. Trovano tuttavia saldo fondamento nei nuovi
dati”.Ovviamente a chi vuole dimostrare che la vita a tutti i costi è casuale, questo non va giù; ma i dogmi
scricchiolano: abbiamo iniziato il 21° secolo col mito del sequenziamento del
DNA, e ora ci troviamo la porta spalancata su un mistero mille volte maggiore.
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