domenica 11 dicembre 2011


Adesso i cattolici che "capiscono" l'aborto non parlino di amore di Giuliano Ferrara, articolo di domenica 11 dicembre 2011, © IL GIORNALE ON LINE S.R.L.

Dilemma etico sulla 16enne di Trento costretta a interrompere la gravidanza. La famiglia si è rivolta al giudice perché oggi si pretende il diritto di fare qualunque cosa evitando le conseguenze
La scomparsa della pietà è una notizia che so­vr­asta la crisi dell’euro e qualsiasi altra noti­zia. Una ragazza di sedici anni ha abortito, cioè si è liberata annichilendola di una creatura umana concepita nel suo grembo, dopo e a causa di una campagna pedagogica scatenata con le mi­gliori intenzioni dai suoi genitori a nome di un valo­re sociale sordo a ogni re­mora di tipo etico (di buo­ne intenzioni è lastricata... eccetera). Padre e madre hanno addirittura chiesto un’ingiunzione di tribuna­le­per costringere all’abor­to, senza ottenerla per adesso, e arrivando lo stes­so allo scopo attraverso la persuasione forte e la con­duzio­ne per mano al patibolo della vita di una bam­bina recalcitrante. In tempo liturgico, come direb­bero i cattolici e come dice la tradizione cristiana, di Avvento. La storia l’ha raccontata Cinzia Sasso, giornalista di Repubblica e first lady della Milano progressista e bendicente. È una storia maledetta e semplice.

Il sesso degli adolescenti, pro­tetto o non protetto dal punto di vista sanitario e concezionale, è un dato di fatto accettato, e perfi­no custodito in un amicale rigetto delle inibizioni da parte delle fa­miglie, della maggioranza degli inse­gnanti, delle amiche e degli amici più gran­di, e di ogni al­tra pallida au­torità supersti­te. Se hai sedi­ci anni, se sei fervorosa e in­namorata o an­che solo spi­gliata e avven­turosa, e i sen­timenti o le pulsioni ti co­mandano di se­guire senza troppi proble­mi le tempeste ormonali del­la tua età, allo­ra il massimo del suggeri­mento cautela­tivo che scuo­la, famiglia e stato sanitario ti of­frono è quello di garantirti con un preservativo, e guai se alla tv non si parla del preservativo, e guai se il Papa dice che in Africa non è la soluzione del problema della promiscuità generatrice di epidemie, e guai se manca a scuola un distributore automati­co. Ma le conseguenze dell’amo­re non prevedono il laico e fatali­sta «fa' quel che devi e avvenga quel che può»,e nemmeno l’ago­stiniano «ama (dilige) e fa' ciò che vuoi»; no, la regola etica mo­d­erna e spietata dice che sei auto­rizzato a fare quel che vuoi, per­ché sei un soggetto libero, a pat­to che scansi il rischio delle con­seguenze di quello che fai, an­che se tra le conseguenze ci fos­se la vita umana innocente di un essere concepito per la libertà di nascere e di esistere. Questa la le­zione atroce inferta alla ragazzi­na che amava un poco di buono, secondo gli standard di felicità e benessere della sua famiglia.

La sordità morale rispetto all' aborto è ormai la legge educati­va dell'occidente, a solo trenta­cinque anni dal varo delle nor­me che sanarono la piaga degli aborti clandestini in Europa, ma insistendo ipocritamente sulla «tutela sociale della maternità». Lo è al punto tale che il tribunale genitoriale chiede aiuto al tribu­nale civile, perché la cultura pre­valente è quella di Obama, che chiama «incidente» e «rischio» l’ipotetica gravidanza di una del­le sue figlie, è quella ormai diffu­sa, nella media considerazione dell’uomo e della donna comu­ni: le ragazze e i ragazzi devono essere compresi, assecondati e educati secondo principi di criti­ca e decostruzione di ogni possi­bile autorità o interdetto, e in mezzo a tanto libertarismo sor­ge però l’idea che devono essere costretti a difendersi dall’aggres­sione di una creatura nuova, dal­l’evento patologico del parto, creatura e parto che perfino ap­pigliandosi alla legge è totalmen­te lecito scongiurare in nome di una vita che sarebbe colpita e de­vastata da una maternità preco­ce. Come se l’interruzione preco­ce della maternità non fosse una devastazione di coscienza e di spirito infinitamente superiore a qualunque sindrome successi­va a un parto. Come se non con­tasse nulla, e non conta nulla, il rispetto creaturale per il terzo in­comodo, per l’embrione forma­to e unico e irripetibile destinato a soccombere per il peso di una scelta ideologica o sociologica.

Anche gli uomini di chiesa si sentono costretti a sociologizza­re il problema, a dirsi come il di­rettore del giornale cattolico chiamato a commentare la sto­ria, «amareggiati» per un aborto che non si può accettare, ma pie­ni di comprensione per le ansie dei genitori e per la situazione in cui si è trovata la ragazzina. La comprensione per chi può deci­dere da forte dell'esistenza dei deboli è solo l'altra faccia della spietatezza verso la vittima di una inversione e trasvalutazio­ne di tutti i valori della vita e del­l’amore. Non mi stiano più a di­sturbare, questi cattolici com­prendenti, con il tema loro caro dell’amore e della solidarietà. Si tengano quelle parole falsamen­te religiose, e ci lascino una laica e sacra pietà.

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