BAMBINI PREMATURI E CURE SALVA-VITA di Carlo Valerio Bellieni MD,
Membro Corrisp. Pontificia Academia Pro Vita
ZI11121101 - 11/12/2011
Permalink:
http://www.zenit.org/article-28941?l=italian
ROMA, domenica, 11 dicembre 2011
(ZENIT.org)- Le linee-guida di molti Paesi prevedono di dare solo cure
palliative a certi bambini estremamente fragili, quelli nati molto prematuri. E
la letteratura scientifica riporta che anche in caso di prognosi di futura
grave disabilità, si tende in vari centri a sospendere le cure salva-vita in
neonati anche più sviluppati dei precedenti, vedi ad esempio lo studio comparso
du Bioethics del 2000 fatto da Michael Gross, che confronta i comportamenti dei
medici in 4 Paesi occidentali.
Ma è corretto dare loro solo cure
palliative dato che hanno solo un rischio, ma non la certezza di morire?
Ed è giusto sospendere le cure in
base alla futura disabilità ai bambini appena nati che presentano segni di
rischio di danno cerebrale?
Alla nascita
Ecco alcune linee-guida di vari
Paesi, che danno indicazioni se rianimare i bambini nati prematuri (vai
all’indirizzo web: http://carlobellieni.com/?p=1019 ).
In basso, le possibilità che gli
stessi bambini hanno di sopravvivere, e nell’altra tabella, la prognosi.
E’ giusto dare solo cure
palliative – vedi la tabella- a chi ha il 15% o il 60% di possibilità di
sopravvivere?
D’altronde, c’è chi ha parlato di
“fetalizzazione” del neonato (1), per dire che a questi bambini si offrono gli
stessi diritti che si offrono ad un feto (che notoriamente non ha diritti a
meno che questi non gli vengano “generosamente” prestati dai genitori, che
fanno da garanti e arbitri della sua umanità).
Qualcuno dice che pare corretto
sospendere le cure vitali perché, anche se vivono, avranno un terribile danno
cerebrale. Invito ad andare all’indirizzo web:
http://carlobellieni.com/?p=1019per vedere i dati della letteratura
scientifica.
Oltretutto, dei bambini nati
sotto le 25 settimane di gestazione, il 22% ha disabilità grave, il 24%
disabilità media e il 34% disabilità lieve (2). Dunque molti avranno problemi
di salute, ma solo in certi casi avranno una “disabilità grave” (es. cecità
oppure paralisi, o sordità, o ritardo mentale grave). Sospendiamo le cure
perché un bambino sarà forse sordo o non vedente?
Anche la tanto temuta
(giustamente) paralisi cerebrale, che può colpire anche il bambino più
sviluppato (cioè nato oltre le 25 settimane di gestazione) non è sempre
sinonimo di gravissimo danno, dato che ha diversi livelli di gravità.
Infine: seguire i “desideri dei
genitori” significa sempre seguire il migliore interesse del bambino? I
genitori possono avere un conflitto di interessi con la sua sopravvivenza.
Dopo la nascita
Le linee-guida dell’American
Academy of Pediatrics dicono: “Ci possono essere casi in cui la prognosi è
incerta ma facilmente molto grave, e la sopravvivenza associate a scarsa
qualità di vita; in questi casi i desideri dei genitori devono determinare il
tipo di trattamento” (3).
Questo significa, che in molti
casi, a distanza dalla nascita, fatta diagnosi di futura disabilità grave, si
può decidere sulla base di un criterio molto soggettivo: la qualità della vita,
cioè avviare “la sospensione attiva del supporto vitale a prematuri con
emorragia intracranica grave basata sulla qualità della vita”, come scrive
Taylor Sawyer dell’Università delle Hawaii (4), criticando il suddetto
documento.
Anche in questo caso, la
decisione si fa sulla base non dell’ineluttabilità della morte, ma della
qualità della vita che per quanto segnata dalla disabilità non è a rischio di
morte.
Non ci sembra un criterio
condivisibile: essere disabili non è un motivo sufficiente per togliere le
cure.
Domande cruciali
Si può sospendere le cure sulla
base di una statistica, e di un rischio, senza una prognosi certa, come avviene
in sala parto, quando non esistono strumenti per fare una prognosi su quel
bambino?
Si può sospendere le cure
nell’interesse dei genitori?
E’ lecito per un cristiano
sospendere le cure per un rischio di malattia, in cui oltretutto la malattia
nemmeno è certa?
Perché non si usano gli stessi
criteri che si usano per gli adulti, cui non verrebbe mai sospesa la terapia
senza una prognosi certa, o nell’interesse di terzi?
Perché a parità di prognosi (per
esempio in caso di ictus o di infarto) nell’adulto si soccorre sempre il
paziente, mentre il neonato di 23 o di 24 settimane si può lasciar morire?
Non è questo procedere una
estensione dei criteri dell’aborto volontario, prolungato non solo al feto ma
anche al bimbo neonato?
Proponiamo a tutti le decisioni
del Comitato Nazionale Italiano di bioetica su questo tema (12) che hanno
decretato come obbligo per il medico il soccorso attivo E NON PALLIATIVO ai
bambini nati vivi, e con possibilità (NON CERTEZZA) di sopravvivere.
Conclusioni
Il rispetto della vita umana non
può far differenze tra adulto, bambino, feto od embrione. e soprattutto non può
discriminare sulla base della futura disabilità.
Compito del cristiano è
riconoscere questa evidenza, e farsi carico di un rispetto incondizionato della
vita umana, che non significa accanirsi quando non ci sono possibilità di
salvare la vita, ma nemmeno abbandonare le cure nell’interesse dei genitori, o
supponendo che per il disabile la morte sia la migliore chance.
Dunque la sospensione delle cure
in base alla prognosi di disabilità non è accettabile; ha la stessa valenza
morale dell’aborto procurato.
Si deve ben distinguere la
futilità delle cure: non sono cure futili se curano un morbo o tengono in vita,
pur non risolvendo la malattia di fondo (per esempio la sindrome Down).
Non dimentichiamo che il caso più
famoso di sospensione di cure ad un neonato fu quando i genitori rifiutarono di
far operare un neonato Down per atresia all’esofago, provocandone così la
morte, come leggibile al seguente indirizzo web: http://en.wikipedia.org/wiki/Baby_Doe_Law.
Il medico cattolico non può
collaborare a decisioni che contrastino col diritto alla vita del bambino,
prima o dopo la nascita.
Il medico cattolico deve
attivarsi per creare un clima di accoglienza che implichi in primo luogo un
superamento dei pregiudizi contro la disabilità; quindi un impegno sociale a
favore delle famiglie con parenti disabili.
Compito del politico cattolico è
facilitare questo percorso, mettendo nell’agenda politica le persone disabili e
povere al primo posto.
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