Grey's Anatomy, l'aborto in tv di Tommaso Scandroglio, 01-12-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/
Il cinema, ma soprattutto il
piccolo schermo sono da una parte specchio della realtà sociale e dall’altro
anticipano mode, costumi e idee. Quindi da una parte mimano il vero e dall’altro
lo preconizzano. La fortunata serie Tv Grey’s Anatomy forse insiste più sul
primo aspetto, esasperandolo però non poco. Questo serial, nato negli States
nel matrzo 2005, ha ricevuto molti prestigiosi premi ed è approdato da noi nel
dicembre dello stesso anno su Fox Life, Italia 1 e sul digitale terrestre di
La5. Si tratta di un medical drama dove il personaggio principale, Meredith
Grey, è una giovane dottoressa che svolge il suo tirocinio presso l’immaginario
Seattle Grace Hospital. Le puntate si snodano tra operazioni di routine,
patologie bizzarre, amorazzi, liti furiose e melense rappacificazioni.
Il 22 settembre scorso è andata
in onda sulla ABC una puntata dove una delle colleghe della Grey, la dottoressa
Cristina Yang, dopo aver scoperto di essere incinta ha deciso di abortire.
Inizialmente aveva tentennato, non per questioni morali, ma perché il suo
fidanzato Owen si era opposto. Ma Owen viene ripreso da Meredith: che non si
intrometta nella gravidanza dell’amica. La decisione deve essere solo sua. Owen
obbedisce e accompagna la fidanzata ad abortire. L “amore” trionfa sempre, non
conosce ostacoli, nemmeno quelli posti da una nuova vita.
Perché Cristina ha preso questa
decisione? Non perché il feto era malato, non perché la sua salute sarebbe
stata in pericolo oppure perché era al verde, né perché aveva subito violenza,
ma semplicemente perché il bambino sarebbe stato un freno alla sua carriera. Il
tasso di cinismo presente in tutti i personaggi della serie è elevato,
soprattutto nell’arrivista Yang, e quindi possiamo dire che in un certo senso
il pubblico si sarebbe sorpreso se quest’ultima avesse deciso di tenere il
bambino piuttosto che sopprimerlo.
Ma quello che più stupisce sono
due aspetti. Il primo risiede nel fatto che gli sceneggiatori hanno deciso di
non drammatizzare troppo l’evento. Pathos ce n’era senza dubbio, ma pareva più
un ingrediente teso a rafforzare la fisionomia del personaggio della dottoressa
Yang che, come sanno bene i fans della serie, non si ferma davanti a nulla pur
di eccellere nel lavoro, piuttosto che una conseguenza naturale della scelta di
abortire. La trama quindi sembrava tesa a normalizzare il dramma dell’aborto, a
neutralizzare la sua componente fortemente emotiva.
Il secondo aspetto invece
riguarda l’effetto specchio prima ricordato. Le motivazioni addotte dalla Yang
sono tutt’altro che eccentriche, ma sono invece copia fedele delle ragioni che
nella maggioranza dei casi spingono le donne ad abortire. Il ricercatore L.B.
Finer nello studio del 2005 Perspectives on Sexual and Reproductive Health ci
informava che il 25% delle donne intervistate che aveva deciso di non tenere il
proprio bambino - la maggioranza
relativa del campione – lo aveva fatto perché non si sentiva pronta, perché non
era il momento adatto, perché in quel frangente altre erano le priorità. Solo
il 3% aveva detto sì all’aborto perché temeva che il feto fosse affetto da
qualche patologia e solo lo 0,5% perché aveva subito violenza. Ma
nell’immaginario collettivo la donna che abortisce lo fa sempre ed unicamente
per gravissimi problemi di salute o economici, oppure perché violentata.
Un’altra prova che sui temi di bioetica il percepito della gente è una cosa e
la realtà dei fatti un’altra.
La puntata del 22 settembre
scorso, che a breve verrà trasmessa probabilmente anche da noi, ha così
instillato con disinvoltura nella mente di 10 milioni di telespettatori
americani l’idea che l’aborto è legittimo quando contrasta con le proprie
aspirazioni professionali. Un incidente di percorso superabilissimo senza lo
spargimento di troppe lacrime. Un altro passo nella direzione del pieno
assorbimento sociale di quell'atto che non è nient’altro che un omicidio
pre-natale.
Ma perché gli ideatori della
serie hanno deciso di trattare questo tema? Forse perché era uno dei tanti un
po’ scabrosi che poteva attirare l’attenzione del pubblico? O forse perché era
un espediente tra i molti per mettere un po’ di pepe nelle già intricate
vicende di questi tirocinanti? Non pare proprio che la scelta sia stata casuale
se andiamo a vedere chi è la creatrice della serie. Si tratta di Shonda Rhimes.
Formatasi nel Marian Catholic High School a Chicago Heights, nell’Illinois, ad
un certo punto della sua vita cambia strada e viene attirata dalle sirene prima
del mondo dell’intrattenimento, dandosi alla sceneggiatura per la TV, poi della
politica diventando membro del comitato direttivo del Planned Parenthood, nota
e potente organizzazione internazionale dedita alla diffusione dell’aborto,
della contraccezione e della sterilizzazione di massa. Nel 2007 la rivista Time
la inserisce nella lista della 100 persone più influenti del mondo. E come dare
torto al Time dato che le idee della Rhimes vengono veicolate a decine di
milioni di persone ogni settimana grazie alle serie di cui è autrice o
sceneggiatrice?
E così la dottoressa Yang è
diventata sostenitrice e portavoce, anzi megafono, della mission del Planned
Parenthood, ambasciatrice internazionale (la serie è esportata in vari paesi
del mondo) dell’aborto libero e gratuito. Inutile aggiungere che nessuna voce
di protesta si alzò per denunciare questo mega spot all’aborto, a parte quella
di qualche gruppo pro-life.
Non così andò, guarda caso,
quando un giorno del 2005 un attore di questa stessa serie, Isaiah Washington,
apostrofò nel backstage un suo collega con l’appellativo di “frocio”.
L’episodio arrivò alle orecchie dei media e l’organizzazione Gay & Lesbian
Alliance Against Defamation (GAAD) pretese le pubbliche scuse di Washington.
L’attore fu costretto a diramare un comunicato stampa in cui affermava: “Non
posso né difendere né spiegare il mio comportamento... e non posso più negare a
me stesso che ci sono delle questioni che devo ovviamente esaminare nella mia
anima, ho chiesto aiuto”. Ma alla GAAD non bastò e fece fortissime pressioni
sulla ABC affinchè prendesse provvedimenti. Washington fu obbligato ad andare
in terapia come segno di ravvedimento e come atto di pentimento dovette
recitare il seguente mea culpa: “Con l'aiuto della mia famiglia e dei miei
amici, ho iniziato ad andare in terapia. Credo sia un passo necessario per
capire i motivi del mio comportamento e per essere sicuro che non accada mai
più. Apprezzo il fatto che mi è stata data l'opportunità di trasformare i miei
errori in azioni positive, sul piano umano e professionale”.
Altro che piacevoli e innocui
filmetti in prima serata: dietro alle trame di queste serie Tv si celano giochi
di potere e lobby assai influenti che pilotano le ignare coscienze di centinaia
di milioni di spettatori in tutto il mondo. E guai a non allinearsi.
Nessun commento:
Posta un commento