OGM/ Herring (Cornell University): troppo potere ai media e pochi dati
veri di Alessia Losa, martedì 6 dicembre 2011, http://www.ilsussidiario.net
L’ingegneria genetica ha
introdotto, in medicina e in altri settori (farmaceutica) innovazioni
significative e fondamentali accettate dall’opinione pubblica. In
contrapposizione la sua applicabilità, in ambito agricolo e di conseguenza
alimentare, ha creato e genera ancora oggi molte perplessità, limitando la
diffusione delle biotecnologie e l’acquisizione dei suoi vantaggi. Due sono le
posizioni predominanti, nettamente contrapposte, sulla questione della
produzione di piante e alimenti geneticamente modificati: una di accettazione e
l’altra di rifiuto. Secondo Ronald J. Herring, sociologo americano della
Cornell University di di Ithaca (New York), la difficoltà di accettare la
manipolazione genetica in un organismo, in modo particolare nelle piante, è da
attribuire alla modalità utilizzata nel divulgare le scoperte scientifiche e
anche agli interessi politico – economici dei paesi industrializzati su quelli
più poveri.
Herring ha lavorato molto sulle
problematiche di adozione e rifiuto del progresso tecnologico, in particolare
sul cotone transgenico in India. È andato direttamente sul posto, per cercare
di capire cosa stava succedendo e ha studiato i movimenti di opposizione ma
anche l'adozione entusiasta alle nuove tecnologie da parte dei piccoli
coltivatori. Nel far questo ha messo a fuoco alcune domande e ha evidenziato
alcune parole chiave, contenute nel titolo di un interessante rapporto
pubblicato qualche anno fa su Nature Genetics (“Opposition to transgenic
technologies: ideology, interests and collective action frames”) e riecheggiate
in un recente incontro all’Università degli Studi di Milano. Come le idee
acquistano potere? Perché l’opinione pubblica è favorevole all’ingegneria
genetica in medicina, in farmaceutica, nell’industria e non nel cibo? Perché è maggiormente condivisa la posizione
di rifiuto su quella a favore?
La sua risposta è chiara:
l’accettazione di tali tecnologie avanzate in medicina e in altri campi e non
nell’agricoltura, è spiegata dal contenuto del messaggio diffuso dai mass media
e dai movimenti sociali, come Greenpeace, e cioè che il cibo geneticamente
modificato è pericoloso per la salute dell’uomo, sostenendo la sua tossicità,
allergenicità e cancerogenicità.
Perciò la domanda a cui bisogna
rispondere, per capire meglio le finalità dell’ingegneria genetica in
agricoltura e fare luce su alcuni aspetti specifici, è: “Cosa significa
modificare geneticamente un organismo?”. La manipolazione genetica di un
organismo, in particolare di una pianta, comporta l’inserimento nel suo genoma
di geni esogeni, non posseduti, ma provenienti da altri esseri viventi
(animali, batteri e virus), determinando nella pianta l’acquisizione di nuove
caratteristiche (miglioramento genico della specie). Tutto ciò è possibile,
poiché vengono superate le barriere riproduttive di incompatibilità usando non
il metodo tradizionale dell’incrocio, ma quello di trasformazione cellulare. Le
piante ottenute da queste manipolazioni sono definite transgeniche, tali
tecnologie si basano sul DNA ricombinante (rDNA).
È fondamentale la comprensione
del perché la popolazione mondiale dovrebbe beneficiare dall’utilizzo delle
biotecnologie in agricoltura, per andare verso la loro accettazione. Un aspetto
importante è che le piante geneticamente modificate possono aumentare la loro
produttività e adattabilità ai cambiamenti eco-ambientali. Un esempio riportato
da Herring, che conferma la precedente affermazione, riguarda il notevole
aumento produttivo dei campi di cotone
in India avvenuto in soli due anni, passando da una bassissima resa del
raccolto alle attuali rese del 90%.
Perciò la necessità di andare
verso un’agricoltura intensiva sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri è
doveroso, poiché le superfici arabili sono in diminuzione a causa della
siccità, dell’alta salinità e della forte urbanizzazione. Oltre al fatto che in
questi ultimi anni si coltiva non solo per uso alimentare, ma anche con la
finalità di produrre biomassa, fondamentale per la generazione di biocarburanti
(Bio-etanolo). C’è poi la grande questione della fame nel mondo che, secondo
Herring, potrebbe essere risolta con l’utilizzo delle piante transgeniche.
L’applicazione del trasferimento
genico nelle piante potrà produrre
specie vegetali migliorate. Si potranno quindi generare nuove varietà
resistenti agli stress biotici; varietà che posseggono geni esogeni
determinanti la resistenza a malattie causate da batteri, funghi e virus, e
anche la resistenza a erbe infestanti.
Le piante di cotone Bt sono un
esempio di biotecnologia applicata in agricoltura. I semi del cotone Bt, messi
in commercio dalla Monsanto, dal 2002 sono utilizzati dall’India e in questi
ultimi anni si è assistito ad un aumento della resa produttiva del raccolto.
Tutto ciò è la conseguenza delle caratteristiche acquisite dalle piante di
cotone Bt, in seguito alla ingegneria genetica, poiché tali piante hanno nel
loro genoma un gene del batterio Bacillus thuringiensis, che attribuisce loro
resistenza ai parassiti, evitando ai coltivatori l’uso di pesticidi.
Vi sono, inoltre, piante
transgeniche resistenti agli stress abiotici (acquisizione della resistenza a
siccità, salinità, alle basse e alte temperature) e anche migliorate a livello
nutrizionale, arricchite in vitamine (esempio il riso golden), ferro e
amminoacidi.
Per il sociologo americano quindi
alla ricerca scientifica, e non ai movimenti d’opinione e al “potere
dell’informazione”, spetta il doveroso compito di rispondere in modo sempre più
preciso all’interrogativo se le piante e il cibo transgenico agiscano in modo
dannoso sulla salute dell’uomo; senza preclusioni aprioristiche proprio in
ragione del potenziale utilizzo vantaggioso di questa potente tecnologia.
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