Avvenire.it, 28 gennaio 2012, Politiche per la famiglia e situazioni di
fatto - Scivolone ideologico nella Milano di Pisapia, di Francesco Riccardi
Nessuna sorpresa, ma non per
questo meno sconcerto. La decisione della giunta di Milano di modificare il
regolamento del "Fondo anticrisi" del Comune – destinando il sostegno
per l’affitto o l’acquisto della casa anche alle coppie di fatto, etero e
omosessuali – è una scelta che non stupisce. Perché già annunciata, nelle sue
linee di principio, fin dalla campagna elettorale del sindaco Giuliano Pisapia,
che ha ribadito più volte anche di voler istituire il cosiddetto "registro
delle unioni civili".
In attesa di quell’atto, peraltro
privo di qualsiasi valore giuridico, la giunta comunale ha pensato bene (anzi
male) di agire facendo leva sulla definizione di "famiglia
anagrafica", così come ridisegnata dalla legge del 1989. Questa prevede –
al solo fine, amministrativo, di "fotografare" le situazioni di fatto
– che siano registrate sullo stesso stato di famiglia «l’insieme di persone
legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozioni, tutela o da
vincoli affettivi, coabitanti...». Un vincolo affettivo semplicemente
dichiarato dai soggetti conviventi all’atto della registrazione in Comune.
Senza che vi sia né alcun controllo da parte dell’ufficiale dell’anagrafe (e,
d’altronde, come sarebbe possibile?) né per ciò stesso alcuna certificazione
ufficiale da parte dell’ente pubblico, che non sia la mera presa d’atto di
un’auto-dichiarazione.
Ciò che sconcerta, allora, è che
il sindaco di Milano, che è avvocato e uomo di legge, scelga con questo atto di
ribaltare le fonti del diritto, anteponendo una legge di regolazione
amministrativa addirittura alla Costituzione. Che all’articolo 29 è
inequivocabile nel riconoscere «i diritti della famiglia come società naturale
fondata sul matrimonio». E all’articolo 31 impegna la Repubblica ad agevolare
«con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e
l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose».
Porre sullo stesso piano coppie che – sposandosi civilmente o religiosamente –
assumono un preciso impegno pubblico e persone che – per scelta, o per
impossibilità – non rendono vincolanti i propri legami "affettivi",
significa violare la lettera e lo spirito della nostra Carta fondamentale.
Perché delle due l’una: se il riferimento degli (ovviamente positivi) aiuti
economici è la singola persona, conta solo il suo stato patrimoniale. Se invece
si intende assumere la famiglia come soggetto, allora occorre necessariamente
riferirsi alla definizione scolpita nella Costituzione e sempre ribadita dalla
Consulta. Per rispetto della verità, anzitutto. E per perseguire davvero il
bene comune. È importante tutelare comunque i figli, al di là delle "scelte"
dei genitori. Ma è necessario al tempo stesso evitare riconoscimenti impropri e
dare chiara e incontestabile priorità alla famiglia fondata sul matrimonio. Che
non è favorita dalla Costituzione per "ideologia", ma perché
orientata a garantire quei rilevanti beni sociali che sono la stabilità delle
relazioni fondamentali e la creazione di un ambiente più accogliente per i
figli.
Il provvedimento presentato dalla
giunta milanese si annuncia, in modo radicale e stridente, di segno opposto. Se
dovesse essere davvero così, una simile scelta si rivelerebbe – essa sì – una
pura affermazione ideologica. Nel ricordare – e ribadire – le giuste priorità
nell’utilizzo delle risorse pubbliche non c’è alcun intento discriminatorio.
Perché qui non ci sono discriminazioni da sanare, ma condizioni e scelte
oggettivamente diverse. La peggiore ingiustizia, lo insegnava anche don Lorenzo
Milani, è trattare in maniera uguale situazioni differenti.
Nessun commento:
Posta un commento