Il modello svedese? Da suicidio di Francesco Saverio Alonzo, 30-01-2012,
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In Svezia aumenta di continuo il
numero delle persone che vivono sole e non sempre per libera scelta, ma come
una conseguenza di situazioni che vanno dalla ricerca esasperata della carriera
all’abbandono del tetto coniugale a seguito di separazioni e divorzi. Si è
toccato adesso il vertice storico del 50% della popolazione, con una punta
massima del 60% nella capitale Stoccolma, distanziando Finlandia (39%),
Danimarca (37%) Germania (34%), mentre i Paesi del bacino mediterraneo fanno
registrare cifre fra il 10 ed il 15%.
Questa desolante solitudine può
degenerare in crisi psicologiche che portano ad esempio i giovani ad eccessi
estremi quali i teatrali suicidi in diretta sul forum Flashback che si sono
registrati recentemente.
Si sa che in Svezia sposarsi è
superfluo dato che basta comunicare all’anagrafe che si divide il focolare con
un’altra persona per essere considerati una coppia a tutti gli effetti
giuridici. Molti, tuttavia, non vogliono rinunciare alla cerimonia del
matrimonio, ma se sono in molti a sposarsi (30.000 matrimoni l’anno per una
popolazione di poco inferiore ai 10 milioni) altrettante sono le coppie che
divorziano e la stessa cifra – sempre 30.000 – riguarda gli aborti legali che
ogni anno si registrano nelle cliniche svedesi. Il 55% dei bambini nasce al di
fuori del matrimonio, ma la ripresa delle nascite (120 mila dovute in gran
misura alle donne immigrate) ha riportato la Svezia al vertice europeo (2,10
figli per donna) e ciò è dovuto alla generosità per quanto riguarda i congedi
parentali, i sussidi di maternità, gli assegni familiari e gli accessi agli
asili. Ovviamente queste forme di welfare si pagano con le tasse piú alte del
mondo, con un carico fiscale del 55% del Pil.
La frequenza dei divorzi porta
con sè il problema della cura e dell’affidamento dei figli, ma, nella moderna
società svedese, perfino i pargoli si sono adattati al trasferimento periodico
da un genitore all’altro, accettando la figura della “mamma finta” o del “papà
finto” (in svedese plastmamma e
plastpappa) che si sostituiscono ai genitori veri con alternanze spesso
illogiche.
E poi la facilità con cui si
svolgono questi scambi di appartenenza affettiva finisce per disgregare la
famiglia, non di rado perché uno dei “coniugi” vuole improvvisamente un partner
piú giovane e, non esistendo remore, pianta tutto e se ne va, lasciando l’altro
solo. E a mano a mano che gli svedesi vedono “progredire” la loro nazione,
aumenta il numero di coloro (50% della popolazione, 59% nella capitale
Stoccolma) che vivono da soli, senza una persona con cui condividere gioie e
dolori, chiusi in miniappartamenti dotati delle piú vanzate risorse
elettroniche ed informatiche, ma privi di calore umano.
Sebbene sussista ancora in Europa
il mito del “modello svedese”, l’albero della solitudine a cui si deve
aggrappare la metà degli abitanti di
questo paese “felice” affonda le proprie radici nella politica perseguita dai
governi socialdemocratici durante gli anni Settanta, ben poco attenta alla
famiglia ed indirizzata ad eliminare le
“spose di lusso” (come venivano definite la casalinghe) spingendole a lavorare
con drastiche riforme fiscali. Attualmente tutte le donne lavorano e sono economicamente
autosufficienti, ma molte di esse che hanno superato la cinquantina si trovano
ad essere prive di una famiglia e degli affetti che dovrebbero circondarle
secondo una tradizione umanistica.
Le femministe piú convinte
trovano positivo questo “strappo” alla prigione familiare, ma ciò non toglie
che continuamente si debbano ascoltare le espressioni di disagio, sui giornali,
alla radio o in televisione, di moltissime persone che vivono sole e si sentono
emarginate, ad onta delle conquiste in carriera. Il disgregamento della
famiglia porta a un distacco tragico anche per quanto riguarda i rapporti fra
le varie generazioni. Si tratta di un rigetto societario che esclude, per
ragioni di puro egoismo o per incapacità di adeguamento ai modelli piú frenetici di vita, intere fasce di
cittadini che un tempo, nell’ambito familiare della società contadina,
trovavano persone con cui dividere la vita quotidiana. Oggi molti anziani
vengono abbandonati, dimenticati da figli e nipoti che vivono con ritmi di vita
e con esigenze che richiedono il massimo della loro concentrazione egoistica.
Non di rado si scoprono i corpi di persone decedute da mesi senza che nessuno si sia preso la
cura di constatare come stessero. Molti svedesi pensano: “Noi paghiamo tasse
salate, ci pensi lo Stato ai vecchi!”
Lo stesso discorso vale per i
figli che, non appena possono, talvolta ancora adolescenti, lasciano la
famiglia per sentirsi liberi, andando a condividere il costo di appartamenti in
subaffitto con altri coetanei, altrettando desiderosi di sfuggire al dominio
dei genitori.
Che la solitudine stia diventando
un problema sociale non indifferente a Stoccolma, una delle città piú moderne
del mondo, viene confermato dalla psicologa Anna Svensson. “In ultima analisi,
- dice la dottoressa Svensson, - è molto meglio per una persona anziana
scegliere di vivere nelle strutture assistenziali create dallo Stato dove,
oltre ad usufruire di ogni comodità e di cure sanitarie, può incontrare altra
gente sola, stabilendo nuove conoscenze ed amicizie che aiutano a vivere.”
Molti genitori trascurano la
formazione morale dei propri figli, protesi come sono nella ricerca di beni
materiali, lasciando i giovani in balia di se stessi ed anche qui si gioca a
scaricabarile. La scuola dice infatti che devono essere i genitori a educare i
figli, mentre i genitori ritengono che, pagando tasse altissime, abbiano tutto
il diritto di addossare al sistema scolastico la responsabilità dell’educazione
morale dei giovani.
In questo caos, spicca il
fenomeno della salda unione familiare riscontrabile presso la maggioranza dei
nuclei di immigrati. Che gli svedesi debbano imparare qualcosa da loro?
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