Svizzera - Eutanasia, legge con finti paletti Non la ostacola, di Tommaso
Scandroglio, Avvenire, 5 gennaio 2012
In Svizzera c’è stato un corto circuito
biogiuridico. La legislazione attuale permette l’eutanasia nel rispetto di
alcune condizioni: chi vuole morire deve essere capace di intendere e volere,
deve ricevere adeguate informazioni, il suo desiderio di morire deve essere
durevole e frutto di decisioni ponderate e prese in piena autonomia. Sono
previste particolari pene nel caso in cui la richiesta di morte nasca da
"motivi egoistici".
Questi paletti sembrano a prova
di bomba ma così non è. Infatti i limiti legislativi sono essi stessi porte
aperte per ogni pratica eutanasica perché assai ambigui. In merito
all’informativa che deve ricevere chi si trova in queste condizioni, il
problema si pone in questi termini: quale è il criterio sicuro per stabilire
che chi vuole morire abbia davvero compreso il suo quadro clinico? Quali le possibili
soluzioni al suo caso? Attraverso quali modalità morirà? Seconda difficoltà: il
desiderio di morire deve essere durevole. Di per sé la volontà di morire è
tutto fuorché durevole. Altro inciampo: solo una salda determinazione legittima
all’eutanasia. Ma anche in questo caso viene da chiedersi quali possano essere
gli indici per stabilire quando una decisione è ponderata e quando è presa alla
leggera. E poi: chi è che decide di farla finita non avendoci pensato bene? E
così tutte le decisioni non possono che venire giudicate serie e importanti. Sull’aspetto
della piena autonomia poi le ombre del dubbio s’ispessiscono: come discernere
le decisioni autonome da quelle frutto di invisibile plagio di parenti e amici?
Inoltre: l’angoscia del vedere i propri giorni finire o la preoccupazione di
essere un peso per gli altri non sono già una pressione sulla libertà di
decisione? Chi è sotto tortura non è di certo libero. Infine come distinguere i
"motivi egoistici", meritevoli di sanzione, da quelli "altruistici"?
Morire perché non si vuole più soffrire anche solo psicologicamente o perché
afflitti da un male incurabile non è un gesto di egoismo? E forse che quasi
tutti coloro che chiedono l’eutanasia non sono spinti da questo tipo di ragioni?
Tra l’altro queste motivazioni sono difficili da reperire presso le cliniche
che praticano l’eutanasia.
Ecco allora che tutti questi
punti interrogativi sono diventati autostrade per l’eutanasia: l’associazione
Exit e la clinica Dignitas hanno reso noto che nel 2010 hanno aiutato a morire
354 persone. Per porre freno a questa deregulation gli stati di Argovia e Basilea-Campagna
hanno proposto di inasprire le norme. Il Consiglio Federale e poi quello degli
Stati hanno bocciato la proposta per due motivi (a breve il parere anche del Consiglio
Nazionale). Il primo è stato espresso così dall’onorevole Verena Diener del
Green Liberal Party: «Ogni persona deve poter decidere quale sia, per sé, un
fine vita dignitoso». Quindi meno paletti ci sono, più siamo liberi. Il secondo
fa riferimento al corto circuito a cui si accennava all’inizio: i differenti consigli
che hanno esaminato la proposta legislativa si sono accorti che più vincoli si
porranno più aumenteranno le zone grigie, così come è accaduto sino ad oggi. Si
sono cioè accorti che una volta legalizzata la dolce morte qualsiasi norma tesa
a disciplinare maggiormente la pratica non può che favorirla. Non perché verrà aggirata
ma perché, come abbiamo qui descritto, più specifichi più apri varchi
all’eutanasia. Regolamentare il male significa aiutare e incoraggiare a compierlo.
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