lunedì 9 gennaio 2012


Svizzera - Eutanasia, legge con finti paletti Non la ostacola, di Tommaso Scandroglio, Avvenire, 5 gennaio 2012  

In Svizzera c’è stato un corto circuito biogiuridico. La legislazione attuale permette l’eutanasia nel rispetto di alcune condizioni: chi vuole morire deve essere capace di intendere e volere, deve ricevere adeguate informazioni, il suo desiderio di morire deve essere durevole e frutto di decisioni ponderate e prese in piena autonomia. Sono previste particolari pene nel caso in cui la richiesta di morte nasca da "motivi egoistici".  
Questi paletti sembrano a prova di bomba ma così non è. Infatti i limiti legislativi sono essi stessi porte aperte per ogni pratica eutanasica perché assai ambigui. In merito all’informativa che deve ricevere chi si trova in queste condizioni, il problema si pone in questi termini: quale è il criterio sicuro per stabilire che chi vuole morire abbia davvero compreso il suo quadro clinico? Quali le possibili soluzioni al suo caso? Attraverso quali modalità morirà? Seconda difficoltà: il desiderio di morire deve essere durevole. Di per sé la volontà di morire è tutto fuorché durevole. Altro inciampo: solo una salda determinazione legittima all’eutanasia. Ma anche in questo caso viene da chiedersi quali possano essere gli indici per stabilire quando una decisione è ponderata e quando è presa alla leggera. E poi: chi è che decide di farla finita non avendoci pensato bene? E così tutte le decisioni non possono che venire giudicate serie e importanti. Sull’aspetto della piena autonomia poi le ombre del dubbio s’ispessiscono: come discernere le decisioni autonome da quelle frutto di invisibile plagio di parenti e amici? Inoltre: l’angoscia del vedere i propri giorni finire o la preoccupazione di essere un peso per gli altri non sono già una pressione sulla libertà di decisione? Chi è sotto tortura non è di certo libero. Infine come distinguere i "motivi egoistici", meritevoli di sanzione, da quelli "altruistici"? Morire perché non si vuole più soffrire anche solo psicologicamente o perché afflitti da un male incurabile non è un gesto di egoismo? E forse che quasi tutti coloro che chiedono l’eutanasia non sono spinti da questo tipo di ragioni? Tra l’altro queste motivazioni sono difficili da reperire presso le cliniche che praticano l’eutanasia.  
Ecco allora che tutti questi punti interrogativi sono diventati autostrade per l’eutanasia: l’associazione Exit e la clinica Dignitas hanno reso noto che nel 2010 hanno aiutato a morire 354 persone. Per porre freno a questa deregulation gli stati di Argovia e Basilea-Campagna hanno proposto di inasprire le norme. Il Consiglio Federale e poi quello degli Stati hanno bocciato la proposta per due motivi (a breve il parere anche del Consiglio Nazionale). Il primo è stato espresso così dall’onorevole Verena Diener del Green Liberal Party: «Ogni persona deve poter decidere quale sia, per sé, un fine vita dignitoso». Quindi meno paletti ci sono, più siamo liberi. Il secondo fa riferimento al corto circuito a cui si accennava all’inizio: i differenti consigli che hanno esaminato la proposta legislativa si sono accorti che più vincoli si porranno più aumenteranno le zone grigie, così come è accaduto sino ad oggi. Si sono cioè accorti che una volta legalizzata la dolce morte qualsiasi norma tesa a disciplinare maggiormente la pratica non può che favorirla. Non perché verrà aggirata ma perché, come abbiamo qui descritto, più specifichi più apri varchi all’eutanasia. Regolamentare il male significa aiutare e incoraggiare a compierlo. 

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