Ecco perché l’amoralità dell’ateismo è un pericolo per la società, 30
gennaio, 2012, http://www.uccronline.it
Il rabbino Moshe Averick,
impegnato nel dialogo con le altre religioni,
ha scritto un articolo davvero molto interessante, intendendo dimostrare
un’altra area di contraddizione sulla concezione della vita priva di Dio. In particolare, si è concentrato sul rilevare
che l’amoralità degli atei (ovvero l’impossibilità ad affermare qualcosa come
perennemente giusto o perennemente sbagliato, ma sempre relativo) si trasforma
in una forma di debolezza sociale nel contrastare terribili mali che
attanagliano la nostra società. Il
”relativismo morale” infatti può gettare le basi filosofiche, ad
esempio, per aprire la strada all’accettazione e all’approvazione della pedofilia
(e altro).
E’ assiomatico, dice, che in una
società priva di Dio non vi è qualcosa di morale o di immorale, ma solo
l’amoralità. Questo è spesso frainteso col fatto che gli atei non hanno valori,
ma tale conclusione è chiaramente errata. L’amoralità è un giudizio, non sulla
esistenza di valori, ma sul significato di quei valori. Nella visione atea del
mondo, infatti, l’essere umano non è “nient’altro che” un primate dalla
posizione eretta, e i nostri sistemi di valori hanno un significato identico a
quello degli abitanti della giungla. Immaginare che l’uomo sia qualcosa di
“più” è quasi una bestemmia per l’apparato culturale
riduzionista-neodarwinista. La morale dunque, è vista semplicemente come un
termine che viene utilizzato per descrivere il tipo di sistema che un individuo
(o una società di individui) preferisce soggettivamente. Ogni società -dicono-
stabilisce, mantiene e modifica i suoi valori in base alle proprie esigenze. Lo
scrittore Samuel Butler disse: «La moralità è il costume del proprio paese e
l’attuale sensazione dei propri coetanei. Il cannibalismo è morale in un “paese
cannibilista”». I valori dunque non sono altro che riflessi delle preferenze
soggettive prevalenti, i quali ovviamente si adatteranno alle mutevoli
esigenze, così ci spiegano i guru del laicismo. Non c’è nulla di perennemente
giusto o perennemente sbagliato, di prescritto nell’uomo, tutto dipende dal
bias degli appartenenti ad una data società. Averick ha voluto sottolineare la
gravità di questa concezione attraverso l’argomento sull’accettazione della
pedofilia nella società, che per ora è ancora uno dei pochi temi su cui esiste
una (quasi) unanimità di giudizio (negativo, ovviamente). «Le conseguenze
logiche e filosofiche dei sistemi di credenza degli atei sono inevitabili», ha
affermato. «Se non esiste nulla di
giusto o sbagliato in modo oggettivo, allora l’abuso di bambini non può essere
sbagliato in modo definitivo, ma dipenderà dall’opinione della società». La conferma arriva dal pensiero dei noti
esponenti di questa visione.
Ad esempio, il docente di
bioetica Peter Singer presso l’Università di Princeton, alla domanda su cosa
pensasse della pedofilia, ha risposto : «Se a te piacciono le conseguenze
allora è etico, se a te non piacciono le conseguenze allora è immorale. Così,
se ti piace la pornografia infantile e fare sesso con i bambini, allora è
etico, se non ti piace la pornografia infantile e fare sesso con i bambini,
allora è immorale». Joel Marks, professore emerito di filosofia presso
l’University of New Haven, in un articolo del 2010 dal titolo “An Amoral
Manifesto” ha detto: «ho rinunciato del tutto la moralità [...] da tempo lavoro
su un presupposto non verificato, e cioè che esiste una cosa come giusto e
sbagliato. Io ora credo che non ci sia [...].
Mi sono convinto che l’ateismo implica l’amoralità, e poiché io sono un
ateo, devo quindi abbracciare amoralità [...]. Ho fatto la sconvolgente
scoperta che i fondamentalisti religiosi hanno ragione: senza Dio, non c’è
moralità. Ma essi non sono corretti, credo ancora infatti che non vi sia un
Dio. Quindi, credo, non c’è moralità». Ecco, tra l’altro, un esempio di dogma
“laico”. Marks ha quindi continuato: «Anche se parole come “peccato” e “male”
vengono usate abitualmente nel descrivere per esempio le molestie su bambini,
esse però non dicono nulla in realtà. Non ci sono “peccati” letterali nel mondo
perché non c’è Dio letteralmente e, quindi, tutta la sovrastruttura religiosa
che dovrebbe includere categorie come peccato e il male. Niente è letteralmente
giusto o sbagliato perché non c’è nessuna moralità». Il ragionamento pare
coerente: senza Dio, nulla è letteralmente giusto e sbagliato, neppure la
pedofilia è per forza sbagliata. Dipende dall’opinione sociale, dai media, da
cosa ne dice “Repubblica”, “Il Fatto Quotidiano” o “Il Giornale”. L’opposizione
alla pedofilia, ha continuato il filosofo non credente, si basa solo su una
sorta di preferenza: «come per la non esistenza di Dio, noi esseri umani
possiamo ancora utilizzare un sacco di risorse interne completamente spiegabili
per motivare determinate preferenze. Così, abbastanza di noi sono abbastanza
contrari al maltrattamento di bambini, e probabilmente continueranno ad
esserlo». Interessante che Marks riconosca che i principi morali non possono
avere un significato oggettivo se non provengono da Dio, i valori etici
(inclusi quelli sulla pedofilia), senza Dio sono destinati ad essere in mano al
capriccio di coloro che li sposano: non hanno alcuna realtà oggettiva, ma tutto
è basato su preferenze personali o condizionamento sociale. Prendendo l’esempio
dell’omosessualità, il tentativo fino ad oggi nei Paesi secolarizzati è stato
quello di condizionare la società verso la sua approvazione, è sufficiente
infatti -in assenza di una cultura cristiana fortemente radicata- che il
“potere” modifichi artificialmente l’opinione generale per rendere qualcosa
morale o immorale, accettabile o non accettabile (così come avvenne con
l’approvazione sociale del nazismo, del comunismo, del razzismo, dello
schiavismo, dell’eugenetica ecc.). «Per dirla in un modo diverso», continua
correttamente Averik, «in un mondo ateo, i termini “moralità” e “preferenze
personale” sono identici e intercambiabili». La valutazione esclusivamente
soggettiva è comunque in balia del “più forte” (condizionamento sociale) ed è
notoriamente capricciosa: c’è chi preferisce il gelato al cioccolato e chi alla
vaniglia, chi preferisce il jazz e chi invece l’hip-hop, c’è chi preferisce che
i bambini possano avere rapporti sessuali con gli adulti e chi invece
preferisce averli con gli animali domestici ecc., la maggioranza decide
arbitrariamente cosa è moralmente accettabile o non accettabile. Ieri era
accettabile l’insegnamento dell’eugenetica nelle università, oggi si tenta di
far diventare la pedofilia un “normale orientamento sessuale“, con tanto di
pressione sul DSM, il manuale diagnostico dell’American Psychiatric
Association. In Olanda i pedofili hanno dal 2006 anche un partito politico.
Michael Ruse, professore di
filosofia presso la Florida State University, ha discusso con Jerry Coyne e
Jason Rosenhouse (tutti e tre non credenti) sulla moralità. Ruse ha
dichiarato sorprendentemente che la
pedofilia è immorale e questa è una verità oggettiva e non soggettiva (o
preferenza personale): «(l’abuso di) ragazzi nelle docce è moralmente
sbagliato, e questo non è solo un parere o qualcosa “sulla base di giudizi di
valore soggettivo”». E ancora : «La mia posizione è che la biologia evolutiva
pone su di noi alcuni assoluti. Si tratta di adattamenti proposti dalla
selezione naturale. E’ in questo senso io sostengo che la moralità non è
soggettiva». In un altro articolo si
contraddice (o meglio, torna nella normalità della visione laicista): «La morale allora non è una cosa tramandata a
Mosè sul monte Sinai. E’ qualcosa forgiata nella lotta per l’esistenza e la
riproduzione, qualcosa modellato dalla selezione naturale. La morale è solo una
questione di emozioni, come il piacere per il gelato o il sesso e l’odio verso
il mal di denti e i compiti degli studenti [...] ora sapete che la morale è
un’illusione che è stata messa in te per farti diventare un cooperatore
sociale, cosa ti impedisce di comportarti come un antico romano? Beh, niente in
senso oggettivo». Non essendoci nulla di pre-scritto, di tramandato da Dio agli uomini attraverso
una rivelazione, arrivando integralmente dalla selezione naturale, il fatto che
una cosa sia giusta o sbagliata, dunque, è puramente una scelta emozionale del
momento. L’unica cosa che rende sbagliata una crudeltà sterminata è il fatto
che ora sia personalmente spiacevole (e domani?).
Il neodarwinista ateo Jerry Coyne
ha voluto rispondere: «Ruse sembra affermare che le azioni di un pedofilo sono
realmente e veramente sbagliate perché la selezione naturale ci ha programmati
a credere che siano sbagliate. Qualcuno può spiegare che cosa mi manca? I
concetti di giusto e sbagliato variano tra le culture contemporanee e si
evolvono nel tempo. Fare appello alla psicologia e alla selezione naturale ci
aiuta a risolvere le questioni di aborto o omosessualità?». Coyne, per una volta, ha perfettamente
ragione: Ruse non può appellarsi alla
selezione naturale. Egli è terribilmente confuso perché da una parte capisce
che non può accettare che l’unica cosa sbagliata nelle molestie sui bambini sia
il fatto che a lui non piacciono (e non piacciono alla società di oggi), e
dall’altra parte deve negare Dio, in quanto non credente. Quindi si appella a
qualcosa che renda oggettiva la negatività verso la pedofilia, ma commette un
errore ingenuo. Coyne ha visto giusto: in una visione atea della vita, non può
esservi nulla di intrinsecamente sbagliato, non è oggettivamente sbagliata la
pedofilia come non lo è qualsiasi altra cosa. La “morale laica” non può che
basarsi unicamente su preferenze personali del momento e condizionamento della
società: oggi la pedofilia è sbagliata, ma non è detto lo debba essere sempre.
Dipenderà dai gusti che avremo domani e dalla capacità della “società” di
condizionarci.
Una volta che l’ateo realizza che
tutti i suoi nobili principi morali non sono altro che sensazioni soggettive –
“non diversamente dal gradimento o non gradimento degli spinaci” -, si accorge
anche che i valori morali cambieranno secondo il capriccio della società. E se
c’è una cosa che abbiamo imparato dalla storia terribilmente sanguinosa del 20°
secolo, è che non c’è nulla che gli uomini e la società non siano in grado di
fare. Senza una legge morale trascendente e oggettiva, l’essere non può che
perdersi nella spirale dell’artificiale inferno della giungla umana. Michael Ruse pare averlo capito e infatti ha
cercato una via d’uscita: «La morale è, e deve essere, una sorta di divertente
emozione. Ma deve far finta di non esserlo affatto! Se pensassimo che la
moralità non è altro che piacere o non piacere degli spinaci, poi non
reggerebbe [...] La morale deve apparire come obiettiva, anche se in realtà è
soggettiva». E in un altro articolo : «Se metto il “soggettivo” in opposizione
all’”oggettivo”, poi chiaramente il tipo di etica che propongo è soggettivo… ma
non può essere soggettivo il male se penso alle molestie sui bambini!». E
infine : «le regole della morale devono
essere vincolanti su di noi come se fossimo figli di Dio e Lui abbia deciso le
regole». Ruse pare avere inconsapevolmente accolto l’invito che il teologo
Joseph Ratzinger fece nel 2005 ai non
credenti: «anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio
dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita come se Dio ci
fosse».
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