EUTANASIA/ D'Agostino: non basta una legge (dell'Europa) a cambiare la
"cultura" della morte - INT. Francesco D'Agostino, lunedì 30 gennaio
2012, http://www.ilsussidiario.net/
Una nuova delibera dell’Unione
europea per dire no all’eutanasia. È stata approvata dall’assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa, e afferma che qualsiasi pratica “intesa
come uccisione volontaria per atto o omissione di un essere umano in condizioni
di dipendenza a suo presunto beneficio, deve essere sempre proibita”. Una
scelta che ha ottenuto il plauso dell’Osservatore Romano, secondo cui dal 2010
a oggi “è la terza volta che da Strasburgo arrivano decisioni orientate alla
difesa della vita”. Per Francesco D’Agostino, membro del Comitato nazionale di
bioetica e professore di Filosofia del diritto nell’Università Tor Vergata di
Roma, “per quanto quella del Consiglio d’Europa sia un’affermazione forte in
linea di principio, non dobbiamo illuderci che ci fornisca una copertura
decisiva nei confronti dell’eutanasia”.
Professor D’Agostino, perché la
presa di posizione del Consiglio d’Europa non la soddisfa?
Mi fa molto piacere che ci sia
questa affermazione così forte in linea di principio. Quello che per me va
sempre ribadito, anche in questo caso, è che nelle questioni essenziali di
bioetica non è sufficiente seguire indicazioni sia pure autorevoli di carattere
politico, parlamentare o internazionale. La volontà politica dei governi, dei
parlamenti o delle assemblee è palesemente mutevole, e quello che oggi può
essere rigettato può essere invece accettato a brevissima distanza di tempo.
Noi dovremmo con molta fermezza e serenità rivendicare un carattere naturale di
certi principi non negoziabili in campo bioetico e non illuderci che la
copertura di una delibera in campo parlamentare, sia pure autorevolissima,
possa fornire l’argomento decisivo per dire di no all’eutanasia. Nel momento
stesso in cui ci compiacciamo che questi organismi prendano certe posizioni,
dobbiamo riconoscere che le stesse istituzioni possono dire di sì all’aborto,
come pure ad altre pratiche inaccettabili.
Non le sembra di stare mescolando
piani differenti?
Niente affatto. Il rischio è che
l’obiettivo di queste delibere sia farci abbassare la guardia e demandare a
organi politici assembleari, nazionali o internazionali, la soluzione pratica
di questioni vitali. Facendoci così perdere la specificità di questi problemi
che non è legale né politica, ma che riguarda innanzitutto una maturazione
etica e bioetica delle coscienze.
Dal momento che l’eutanasia è un
reato equiparabile all’omicidio, in che senso non si tratta di un problema
politico e legale?
Il problema è la qualificazione
giuridica dell’atto che chiamiamo eutanasia. Infatti si può tranquillamente
sostenere che l’eutanasia è un omicidio, e poi difendere il suicidio assistito
o la rinuncia consapevole alle terapie. Insomma, il rischio di chi dà troppo
credito alle norme giuridiche e alle decisioni politiche è di demandare la
soluzione dei problemi bioetici non alla coscienza, non al diritto naturale,
non alla verità delle cose, ma alla volontà di organi deliberativi che a volte
non sono stati nemmeno eletti democraticamente.
A che cosa si riferisce?
Di recente per esempio con una
serie di sentenze la magistratura tedesca ha di fatto favorito il suicidio
assistito. Indebolendo così enormemente la difesa della vita in alcuni contesti
specifici, per quello che riguarda appunto la sospensione delle terapie
salvavita. Basta non chiamare queste pratiche come eutanasia, ma usare termini
differenti, e si ottengono risultati imprevedibili. La notizia della decisione
dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa va quindi recepita con
soddisfazione, ma non in chiave trionfalistica. Non c’è nulla da festeggiare,
perché a fronte di una delibera di questo tipo se ne potrebbero citare molte
altre, di tipo diverso, e che ci mettono terribilmente in imbarazzo, sia in
campo bioetico sia in campo para-bioetico. Non dimentichiamoci per esempio che
il Parlamento europeo ha condannato diverse volte la Santa Sede per
discriminazioni sessuali, in quanto non riconosce il sacerdozio femminile.
Lei crede che il Vaticano si sia
sentito messo in difficoltà?
Si tratta di delibere che
lasciano il tempo che trovano, ma che ci fanno capire quanto è ambiguo
l’intervento di questi organismi in ambiti non di loro competenza. Anche questa
delibera dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa potrebbe quindi riservare
brutte sorprese. Potrebbe emergere che in questa delibera ci sono dei vuoti che
potrebbero essere riempiti in chiave pro-eutanasica.
Lei si ricorderà il caso di
Welby, che chiese che gli fosse staccata la respirazione artificiale. Anche la
legge italiana ha dei “vuoti”?
Il caso Welby non è stato
ritenuto eutanasia dal magistrato italiano, e rappresenta proprio una vicenda
esemplificativa di quanto ho affermato finora. Il dottor Mario Riccio, accusato
di omicidio, è stato prosciolto e il caso è stato addirittura archiviato prima
ancora che si aprisse il processo. E il motivo è che ciò che è successo a Welby
non è stato ritenuto né omicidio né suicidio assistito né eutanasia, ma
rispetto della volontà di un paziente consapevole.
È difficile però sostenere che in
quel caso la legge italiana sia stata applicata in modo corretto dal
magistrato...
Noi possiamo anche dire che la
legge non è stata applicata in modo corretto. Ma io preferisco affermare che
non è la norma che ci difende, siamo noi che dobbiamo farlo con la nostra
coscienza morale. Perché quando facciamo appello alla legge, di fatto la sua
applicazione non spetta né a me né a lei ma spetta al magistrato. Proprio
perché quest’ultimo può applicarla in modo scorretto, dobbiamo muoverci su un
livello che viene prima di qualsiasi legge, auspicando che le norme ci seguano
ed entrino in sintonia con questi valori etici che noi vogliamo difendere. La
norma non detta i valori etici, ma semplicemente vi si deve conformare. La
delibera quindi di cui stiamo parlando non va presa come l’intervento che mette
in chiaro quali sono i valori bioetici in gioco, ma tutt’al più ci dobbiamo
compiacere che li abbia recepiti facendoli suoi.
(Pietro Vernizzi)
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