La Familiaris consortio trent'anni dopo 2012, http://www.caffarra.it
Due sono le domande che possono
sorgere in noi ogni volta che ricordiamo un documento del passato: in che cosa
oggi la situazione in cui fu scritto è mutata? Il documento in questione è
ancora in grado di orientarci oggi? Nella riflessione che segue cercherò di
rispondere a queste due domande. Essa pertanto sarà divisa in due parti: la
condizione attuale del matrimonio e della famiglia e la Familiaris Consortio
[da ora in poi FC]; la FC documento-base del nostro impegno per il matrimonio e
la famiglia.
1. FC e condizione
attuale.
Penso che nei tre decenni che ci
separano dalla pubblicazione di FC sia accaduto un cambiamento radicale nel
modo occidentale di considerare il matrimonio e quindi la famiglia; sia
accaduta nella cultura occidentale una vera svolta epocale. Cercherò di
descriverla per sommi capi.
La proposta cristiana circa il
matrimonio e la famiglia, l’Occidente ha sempre avuto difficoltà ad accettarla
sul piano pratico. È stato un atteggiamento che potrei riassumere nel modo
seguente: "questo modo di concepire e di proporre il matrimonio è vero, è
bello, ma non è praticabile nella sua interezza". In breve: non è la sua
verità in questione, ma la sua praticabilità. Soprattutto era giudicata tale la
dottrina cristiana circa l’indissolubilità e, soprattutto dal secolo scorso, la
dottrina circa la procreazione responsabile.
Questa, diciamo, contestazione ha
anche indubbiamente favorito un approfondimento, una sempre maggiore
precisazione da parte della Chiesa della sua dottrina. E da Leone XIII in poi
gli interventi magistrali sono andati via via crescendo, fino all’imponente
magistero del beato Giovanni Paolo II.
In questi ultimi decenni tuttavia
è avvenuta, ed è ancora in atto, una vera svolta epocale. Non è la
praticabilità della proposta cristiana che è messa in questione; è la sua
verità. Anzi è andata messa in discussione progressivamente la verità
dell’istituto matrimoniale come tale. Mi spiego, partendo proprio da questo
punto.
Da sempre, l’Occidente aveva
pensato che l’istituto matrimoniale, pur nella varietà delle forme in cui era
giuridicamente regolamentato e quotidianamente vissuto, avesse una sua propria
natura. Non tutto nel matrimonio è convenzionale, e quindi negoziabile. Esiste
uno "zoccolo duro", cioè una verità del matrimonio indipendente dalle
vicissitudini storiche.
Che cosa è accaduto, e sta
accadendo? Viene negato che nel matrimonio esista "qualcosa" che le
convenzioni non possono cambiare. Più precisamente. Il matrimonio non è per sua
natura stessa un’unione legittima etero-sessuale in ordine alla
procreazione-educazione dei figli; può anche essere un’unione legittima
omo-sessuale, e la procreazione può essere legittimamente perseguita
separatamente dalla sessualità coniugale. Chi stabilisce se il matrimonio è fra
persone di sesso diverso o uguale? L’autonoma decisione del singolo, che gli
ordinamenti giuridici devono semplicemente riconoscere senza discriminazioni di
sorta.
Spero sia chiaro ora in che cosa
consiste la svolta epocale di cui parlavo. Non viene detto: la proposta
cristiana è impraticabile; viene detto: è falsa.
Devo a questo punto chiarire un
poco questa descrizione della svolta epocale. Il matrimonio è qualcosa di
singolare nella dottrina cristiana. Esso è uno dei sette sacramenti, ma non è
stato "inventato" da Gesù Cristo. La sacramentalità presuppone sempre
ciò che possiamo chiamare il matrimonio naturale, e sopra ho chiamato "ciò
che definisce l’istituto matrimoniale come tale". Poiché è questo che la
dottrina cristiana afferma, l’attacco alla verità del matrimonio coinvolge
anche la proposta cristiana; e alla sua radice.
Ho detto "anche",
poiché questa materia di contesa non coinvolge solo la Chiesa ma anche – oserei
dire, soprattutto – la società civile e la sua sovrana organizzazione
giuridica, cioè lo Stato.
Riprendo ora il tema della svolta
epocale, per completare. La mutazione sostanziale nei confronti del matrimonio
ha comportato la mutazione sostanziale delle fondamentali relazioni che
costituiscono la famiglia: paternità/maternità – figliazione – fraternità.
Non considerando
l’etero-sessualità elemento costitutivo dell’istituto matrimoniale, eo ispo
devo mutare la definizione di paternità-maternità. La generazione della persona
e la sua genealogia sono al contempo radicate nella biologia e la trascendono
senza negarla. È nella biologia della persona che è inscritta la genealogia
della persona [Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie (2 febbraio 1994) 9,1].
La relazione fondamentale paternità/maternità – figliazione, se viene sradicata
dalla biologia, deve essere anche ridefinita ex novo. Chi è il padre/la madre?
Chi ha dato il seme oppure chi si attribuisce il bambino? Chi ha dato l’ovulo
oppure chi accoglie il bambino? La relazione diventa definibile secondo le
convenzioni accettate e legalmente trascritte. Il convenzionalismo che ha
investito l’istituto matrimoniale ha inevitabilmente coinvolto l’istituto
famigliare.
Alla fine, in che condizione si
trova l’Occidente a riguardo del matrimonio e della famiglia? Posso rispondere
servendomi di un esempio.
Si può distruggere un edificio in
due modi. Con una bomba, e lo rado al suolo; oppure lo de-costruisco pezzo per
pezzo. Nel primo caso, alla fine ho solo polvere e macerie; nel secondo caso ho
ancora tutti i pezzi ma non ho più l’edificio. È accaduta al matrimonio e alla
famiglia la seconda cosa. Abbiamo ancora tutti i pezzi. Continuiamo a parlare
di coniugi, di paternità/maternità; gli ordinamenti giuridici continuano ad
avere i loro istituti. Ma sono pezzi, cioè termini che non veicolano più
significati univoci, essendo stati estratti dall’insieme che li definiva.
Vorrei ora riflettere sulle cause
che hanno portato a questa situazione.
Fenomeni culturali come questo
sono processi storici assai complessi. L’individuazione delle loro cause
rischia una semplificazione eccessiva. Comunque, abbiamo il bisogno di capire,
e si capisce un fenomeno quando se ne conoscono le cause.
A me sembra che le cause
principali siano soprattutto le tre seguenti, strettamente connesse:
progressiva declinazione individualista delle fondamentali esperienze umane [il
mito dell’auto-realizzazione e del sovrano diritto soggettivo]; oscurarsi della
verità e del senso della diversità sessuale; la libertà pensata e vissuta come
pura auto-determinazione. Dirò ora qualcosa brevemente su ciascuna di queste
cause.
A) La vita coniugale è
espressione e realizzazione della condizione della persona umana, che si
realizza nella relazione con l’altro.
La relazione coll’altro può
essere pensata – più concretamente, la socialità – in due modi differenti, e
vissuta di conseguenza. Declinata secondo due possibili paradigmi.
Se si concepisce la relazione con
l’altro come una dimensione congenita della persona, un bene umano naturale, la
società sarà vissuta come la realizzazione integrale della propria umanità. La
perfezione di se stessi è un bene relazionale; è cioè un bene che consiste in
una relazione.
Se si concepisce la relazione con
l’altro non una dimensione congenita, ma il frutto di una convenzione o
contrattazione reciproca, l’associarsi verrà pensato e vissuto come una
necessità dovuta alla ricerca del proprio bene, della propria felicità
individuale. Non esistono beni relazionali, avendo la relazione carattere di
mera utilità per il proprio benessere. Parlavo del mito del proprio benessere e
della sovranità dei diritti soggettivi.
Se chiamiamo il primo paradigma
"paradigma personalista", ed il secondo "paradigma individualista",
si può dimostrare che il secondo ha avuto nettamente vittoria nella coscienza
che l’uomo ha di sé in Occidente. Questa vittoria impediva di accettare la
visione che fino ad allora l’Occidente aveva avuto del matrimonio,
trasformandolo da "communio totius vitae" a contrattazione fra due
diritti sovrani alla propria felicità individuale e alla soggettiva
autorealizzazione. E ogni contrattazione è sempre istituita sulla base del dare
ed avere, ponendo da parte di ciascun contraente la condizione che fra dare ed
avere ci sia almeno parità. Altrimenti c’è la clausola tacita del recesso.
Qui troviamo forse una delle
ragioni più profonde della progressiva equiparazione, anche giuridica, del
matrimonio alla libera convivenza, e la progressiva legittimazione di questa.
B) La declinazione individualista
dell’humanum è causata anche dal progressivo oscurarsi della verità e bontà
della diversità sessuale. "Siamo in difficoltà culturale, noi
post-moderni, nel vedere l’altro come differente (quale differenza è più
invalicabile di quella dell’essere maschi e dell’essere femmine?) ma non
estraneo. Siamo tentati di risolvere il problema in una omologazione che tutto
appiattisce" [Comitato per il progetto culturale della CEI (a cura del),
Il cambiamento demografico, Laterza, Bari-Roma 2011, 9].
La diversificazione sessuale è
sempre stata vista dai pensatori essenziali come uno dei simboli fondamentali
della verità della persona umana, di ciò che è la persona umana. Il secondo
capitolo della Genesi lo dice in maniera assai suggestiva.
Simbolo della persona umana,
perché la diversificazione sessuale dice che l’humanum non coincide interamente
né colla mascolinità né colla femminilità; non coincide con la riduzione
omologante dei due. Ma consiste nell’affermazione di ciò che è proprio di
ciascuno dei due, all’interno di una relazione che, su un piano di uguale
dignità, orienta e l’uomo e la donna alla pienezza della loro umanità.
L’istituzione matrimoniale
nasceva in fondo da questa visione, anche se dobbiamo dire non in modo del
tutto chiaro a causa anche del fatto che l’esercizio della sessualità era
pensato esclusivamente in funzione della procreazione, e il non pieno
riconoscimento dell’uguale dignità della donna.
Se mi colloco dentro a quella che
ho chiamato declinazione individualista dell’humanum; se perdo di vista il
fatto che la persona umana è uomo e donna; se - aggiungo – la procreazione è
sradicata dall’esercizio della sessualità, non si capisce più la definizione
eterosessuale dell’istituzione coniugale, o comunque cessa di essere
impensabile la definizione omosessuale del medesimo. Cosa che sta puntualmente
accadendo.
Mi fermo ora brevemente – il tema
meriterebbe ben più ampio sviluppo – per indicare come questi due primi
processi culturali hanno influito sulle relazioni famigliari.
Il primo ha cambiato la
considerazione del figlio come dono, come persona che è attesa in se stessa e
per se stessa, nel figlio come diritto, come ciò di cui ho bisogno per la mia
auto-realizzazione.
Il secondo processo ha …
combinato un guaio ancora più grave: ha reso sempre più difficile la
generazione dei figli [= cambiamento demografico]. Per custodire infatti
"il generare all’altezza del suo compito non vi è altra strada che quella
della condivisione, del riconoscimento o della reciprocità nella quale non si
realizza uno scambio do ut des, ma la crescita e la realizzazione in toto delle
persone" [l. c.].
C) Il terzo processo riguarda la
concezione e il vissuto della libertà. Con questo tocchiamo, penso, il fondo
del dramma dell’uomo di oggi.
È una libertà che viene sradicata
dalla verità circa il bene ed il male; che viene vissuta come una realtà prima;
che viene sempre più vissuta come spontaneità.
In questo modo di vivere la
propria libertà, la proposta cristiana circa il matrimonio diventa non
impraticabile, ma impensabile. Per quale ragione? perché libertà e definitività
sono pensate come grandezze inversamente proporzionali; perché la libertà non è
più pensata come capacità di auto-donazione, ma come capacità di affermazione
di se stessi a prescindere dall’altro.
La nostra storia occidentale di
libertà era stata scandita da tre grandi eventi: la liberazione del popolo
ebreo dall’Egitto e dono conseguente della Legge; l’esperienza della polis
greca; la scoperta di una res publica compiuta da Roma, di cui ciascuno è
responsabile.
In fondo, tutte e tre avevano una
idea di fondo: la libertà è un bene da condividere, perché è un bene per natura
sua relazionale. Il cristianesimo, con Paolo, porterà all’estrema conseguenza
questa grammatica comune della libertà: essa è servizio; è dono; è oblativa,
non possessiva. L’istituto matrimoniale si nutriva di questo terreno. Sradicato
da esso, è divenuto privo di vita. È sempre più impensabile come progetto di
vita.
2. La F.C. base
permanente del nostro impegno.
Tutto quanto detto sopra stava
già accadendo quando la F.C. venne scritta e promulgata, anche se quei processi
non avevano mostrato ancora tutti i loro effetti sul matrimonio e la famiglia.
La F.C. dunque ha accolto la sfida, e ha indicato le linee di risposta alla
provocazione.
Per chiarezza indicherò
sinteticamente questa risposta sottolineandone due punti: la risposta di metodo
e la risposta di contenuto.
2.1. È stata una risposta
metodologica. La F.C. ha indicato un metodo, cioè una via per "annunciare
il Vangelo, cioè la buona novella a tutti indistintamente, in particolare a
tutti coloro che sono chiamati al matrimonio e vi si preparano" [F.C. 3].
Il metodo è esposto nella Parte prima dell’Esortazione apostolica.
Esso è la coniugazione
simultanea, l’insieme di tre percezioni, o, se volete, di tre attitudini
spirituali: la conoscenza delle "situazioni entro le quali il matrimonio e
la famiglia oggi si realizzano" [F.C. 4]; la profonda conoscenza della
dottrina cristiana circa il matrimonio e la famiglia; l’interpretazione della
situazione alla luce della dottrina della fede mediante un vero discernimento
evangelico, operato dal soprannaturale senso della fede [al discernimento
evangelico è dedicato tutto il n° 5 della F.C.].
Più semplicemente, spero. Se
accosto i due poli della corrente elettrica, scocca la scintilla. Se accosto
conoscenza della situazione e conoscenza della fede, scocca la scintilla del
discernimento.
Se mi limitassi a misurare, a
pensare l’annuncio del Vangelo del matrimonio e della famiglia sullo spirito
del tempo, senz’altro ridurrei il Vangelo a misura dell’uomo e della donna che
si sposano. Se mi limitassi a trasmettere la dottrina della fede senza una
profonda conoscenza del quotidiano vissuto degli sposi, la dottrina della fede
potrebbe, nel migliore dei casi, essere imparata, ma non sentita come risposta
alle vere domande dell’uomo e della donna che si sposano.
Il "senso della fede",
organo del discernimento, "è un dono che lo Spirito partecipa a tutti i
fedeli, ed è pertanto, opera di tutta la Chiesa… I laici, anzi, in ragione
della loro particolare vocazione, hanno il compito specifico di interpretare
alla luce di Cristo la storia di questo mondo, in quanto sono chiamati ad
illuminare e ordinare le realtà temporali secondo il disegno di Dio Creatore e
Redentore" [F.C. 5].
È questa la via, il metodo
appunto, che la Chiesa è chiamata a percorrere per la Nuova Evangelizzazione.
2.2. Vorrei ora richiamare nei
suoi punti fondamentali la visione teologica ed antropologica che la F.C. ha
del matrimonio e della famiglia [cfr. Parte seconda, 11-16], per farvi vedere
come essa possa e debba costituire la base su cui edificare la nostra
pastorale, anche oggi. La FC resta il Documento base.
Leggendo attentamente la parte
teologico-antropologica di FC [cfr. parte seconda, 11-16], possiamo individuare
nel testo pontificio alcune certezze di fondo. E’ dal loro insieme armonico che
si evince la visione teologico-antropologica di FC.
La prima. Il matrimonio e la
famiglia sono realtà "naturali". Essi si radicano profondamente nella
natura stessa della persona umana. Togliamo subito però un equivoco che può
insidiare questa formulazione. Essa non va intesa nel senso che la persona
umana debba sposarsi per realizzarsi. Quale è allora il senso preciso di quella
affermazione? Esso dipende dal concetto di "natura della persona
umana" che ha la FC.
Ascoltiamo l’incipit della parte
seconda di FC: "Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza:
chiamandolo all’esistenza per amore, l’ha chiamato nello stesso tempo
all’amore". La natura della persona umana è costituita dal suo essere
"ad immagine e somiglianza" di Dio. Quando Tommaso scrive:
"praepositio … "ad" accessum quemdam significat, qui competit
rei distanti" [1, q.92, a.1c], esprime un’idea comune ai Padri greci. La
natura della persona umana è "tendenziale in riferimento a …". Ciò
che fa di essa un "unicum" nell’universo creato visibile è che il
termine di questo essere-tendenza è Dio stesso.
Ma la FC non dice questo
solamente. Essa afferma che l’intera natura della persona umana è definita
dalla sua "vocazione all’amore". Dice il testo: "Dio è amore e
vive in se stesso un mistero di comunione personale di amore. Creandola a sua
immagine … Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e
quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è,
pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano"[11,2].
L’uomo è costituito in ordine all’amore: la sua natura è orientata all’amore.
Ne deriva che, come ha scritto Giovanni Paolo II nell’Enc. Redemptor hominis,
"L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile,
la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non
s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi
partecipa vivamente" [10,1; EE 8/28].
E’ necessaria a questo punto una
rigorizzazione concettuale. La definizione di uomo che stiamo elaborando non
deve essere intesa nella luce di un’affermazione del primato dell’etica
sull’ontologia. L’uomo non è definito da una esigenza; da un dovere; da una
vocazione neppure: è definito dall’essere egli fatto in modo tale che l’amore
ne indica la perfezione, il bene ultimo. E’ dentro a questa rigorizzazione
concettuale che si comprende l’affermazione forse più profonda fatta dal
Concilio Vaticano II sull’uomo: "Questa similitudine [= una certa similitudine
tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e
nell’amore] manifesta che l’uomo … non possa ritrovarsi pienamente se non
attraverso un dono sincero di sé" [Cost. Past. Gaudium et Spes 24,4].
L’uomo può perdere il proprio "se stesso": può cioè dilapidare la sua
umanità e quindi compiere una pseudo-autorealizzazione. Questo sperpero accade
quando non realizza se stesso nel dono di sé.
Siamo ora in grado di cogliere il
significato preciso e pieno del primo insegnamento fondamentale di FC.
Matrimonio e famiglia sono radicati nella natura della persona umana perché
sono in grado di esprimere l’intimo orientamento al dono di sé che la
definisce. Matrimonio e famiglia non sono "estranei" alla natura
della persona umana, ma consentanei alla sua struttura intima.
La seconda certezza di fondo di
FC è che matrimonio e famiglia entrano nella storia della salvezza, sono una
realtà dell’economia della salvezza. Questa collocazione è decisiva per capire
la visione teologico-antropologica di FC. Essa viene descritta nel mondo
seguente: "La comunione d’amore tra Dio e gli uomini, contenuto
fondamentale della Rivelazione e dell’esperienza di fede di Israele, trova una
sua significativa espressione nell’alleanza sponsale, che si instaura fra l’uomo
e la donna. E’ per questo che la parola centrale della Rivelazione, "Dio
ama il suo popolo" viene pronunciata anche attraverso le parole vive e
concrete con cui l’uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale. Il loro
vincolo diventa l’immagine e il simbolo dell’Alleanza che unisce Dio e il suo
popolo" [12,1-2].
Ma per comprendere esattamente la
collocazione del matrimonio e della famiglia dentro all’economia della salvezza
sono necessarie alcune precisazioni.
Trattasi di una collocazione che
sembra fondarsi sopra la "similitudine": l’esperienza coniugale entra
nell’economia della salvezza in quanto mezzo espressivo della stessa, come
linguaggio umanamente comprensivo del mistero dell’Alleanza. In realtà non si
tratta solo di questo. Ma di una vera e propria partecipazione di cui la
coniugalità è dotata nei confronti del mistero dell’Alleanza. E’ questa
l’essenza della sacramentalità propria del matrimonio di due battezzati. Dalla
partecipazione deriva la similitudine, non viceversa: la partecipazione definisce
l’ontologia del sacramento, la similitudine l’etica. Questo ordine va
accuratamente custodito.
Ogni partecipazione consiste nel
possedere in parte una perfezione che in se stessa è più ampia. La perfezione
cui si riferisce il testo di FC è di volta in volta indicata con l’amore di Dio
verso il suo popolo [12,2]. Alleanza che unisce Dio e il suo popolo [ib.], lo
Sposo (Cristo) che ama e si dona (13,1) sulla Croce. La perfezione è quella
insita nel dono che di sé ha fatto Cristo sulla Croce: "li amò eis
télos" [Gv 13,1]. Dono "de quo magis cogitari nequit". La
limitazione di questa perfezione negli sposi che pure ne partecipano realmente,
è dovuta al fatto ovvio della loro creaturalità ed imperfezione morale, oppure
alla forma della coniugalità che la perfezione dell’Amore quale si ha in Cristo
assume negli sposi? La domanda verte sulla coniugalità come limitazione della
partecipazione all’amore che ha mosso Cristo a donare Se stesso sulla Croce. La
questione, come si capirà subito, non è di dettaglio.
La mia idea è che la coniugalità
è limitativa, ma non nel senso che essa sia estranea, estrinseca all’amore di
Cristo, ma nel senso che è in grado di esprimerne solo una dimensione [cfr.
16,1]. Tutti i colori dell’iride sono presenti nella luce, ma è necessario lo
spettro per vederli. Tutte le forme dell’amore, del dono di Sé, sono presenti
nell’auto-donazione di Cristo sulla Croce. Ma la ricchezza del tutto ha bisogno
del frammento per farsi conoscere. Nello stesso tempo però il frammento rimanda
sempre al tutto: l’amore coniugale rimanda per sua natura oltre se stesso,
verso una pienezza d’essere che esso non è capace né di promettere né di
realizzare [cfr. 1Cor 7,29].
Ci eravamo proposti di vedere
come la FC pensa la presenza, la collocazione del matrimonio dentro
all’economia della salvezza. Questa è vista nelle tre dimensioni che sono
proprie del sacramento. E’ collocato nella storia della salvezza perché il
matrimonio è memoriale dell’avvenimento centrale dell’economia salvifica, la
morte-risurrezione del Signore; perché è attualizzazione dello stesso nel senso
che l’effetto primo ed immediato della celebrazione sacramentale è il vincolo
coniugale, partecipazione reale all’appartenenza reciproca di amore di Cristo
colla Chiesa; perché è prolessi del compimento definitivo, quando Cristo sarà
tutto in tutti (cfr. 13,7-8).
La terza convinzione di fondo
riguarda la relazione esistente fra la natura della persona umana e del
matrimonio [prima convinzione] e il matrimonio-sacramento [seconda
convinzione].
Parto da due testi di FC:
"In questo sacrificio [= quello di Cristo sulla Croce] si svela
interamente quel disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della
donna, fin dalla loro creazione" [13,2: in nota si cita Ef 5,32]. E poco
più sotto: "L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è
interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico
con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di
Cristo che si dona sulla Croce" [ib.].
Le due affermazioni si articolano
e si connettono in quanto la prima è ontologica: parla dell’essere dell’uomo e
della donna definito come "disegno del Creatore"; la seconda è etica:
parla della pienezza, della perfezione della coniugalità definita come amore.
Teoreticamente la più importante è la prima.
Il fine verso cui guardava Dio
creatore nel momento in cui creava la persona umana, era "il sacrificio
che Gesù Cristo fa di se stesso sulla Croce per la sua Sposa". E’ questo
avvenimento il "punto gravitazionale" della persona umana.
Si noti bene che il testo non
parla di persona umana in generale, ma di "umanità dell’uomo e della
donna". Viene qui aperta una pista di riflessione tesa a mostrare come
mascolinità-femminilità trovano nel mistero di Cristo la loro unità che
salvaguarda la diversità, oltre una visione sia di contrapposizione
insuperabile sia di insignificanza ed irrilevanza ultima della divaricazione
sessuale, di cui ho già parlato. Il mistero nuziale di Cristo-Chiesa esprime la
verità della persona umana, e la partecipazione a questo mistero nuziale
realizza l’umanità in quanto maschile-femminile.
La trascrizione sul registro
etico di quest’affermazione ontologica significa che l’amore coniugale, nel
senso della sua naturalità di cui ho parlato al § 1,1, è orientato a
realizzarsi come carità coniugale. Ciò non significa un più grande obbligo: il
matrimonio sacramento è più indissolubile che il matrimonio non sacramento. Significa
che l’amore, inteso come dono di sé a cui la persona è finalizzata, quando
assume la forma della coniugalità, non è perfetto fino a quando non è elevato a
carità coniugale. Il tempo affidatomi non mi consente di procedere oltre.
La quarta convinzione di fondo
riguarda il rapporto coniugalità-dono della vita [cfr. n° 32]. In sostanza, FC
ed il successivo sviluppo della riflessione ha mostrato la connessione
inscindibile fra coniugalità e dono della vita: la coniugalità implica nella
sua stessa essenza di communio personarum l’orientamento al dono della vita, e
reciprocamente il dare origine ad una nuova persona umana deve accadere solo
attraverso quell’atto nel quale i due coniugi diventano una caro, ed è quindi
espressione eminente della communio personarum.
Questa visione dimostra la
falsità di due tesi opposte. Quella che configura la coniugalità come
"mezzo" per la procreazione, e quella che pone un rapporto estrinseco
o solo di fatto fra coniugalità e dono della vita.
Conclusione: profezia di una
visione
Concludendo la mia riflessione
vorrei finalmente spiegare in che senso la FC è il Documento base di ogni
pastorale matrimoniale.
Ancora nel 1974 K. Wojtyla
scriveva: "Una onesta comprensione della realtà del matrimonio e della
famiglia sulla base della fede richiede un approfondimento dell’antropologia
della persona e del dono ed anche un approfondimento del criterio della
comunità delle persone ("communio personarum")".
FC ha introdotto una forte ed
ampia riflessione antropologica come esigenza imprescindibile per comprendere e
far comprendere la dottrina cristiana del matrimonio.
Questi tre decenni che ci
separano dalla promulgazione di FC hanno mostrato come questa visione fosse
profetica.
L’esigenza della riflessione
antropologica, come dimensione essenziale della proposta cristiana del
matrimonio, è andata assumendo carattere di crescente urgenza, anche e prima di
tutto dal punto di vista teoretico. Ci è chiesta la ricostruzione di una
visione dell’uomo, che generata dalla fede, possa rispondere veramente alle
domande dell’uomo su se stesso e sul suo destino.
Ma perché questa ricostruzione
possa avvenire, il pensiero cristiano deve affrontare e vincere le tre sfide
fondamentali che la contemporaneità gli sta lanciando: la sfida del nichilismo
metafisico, la sfida del cinismo morale, la sfida dell’individualismo asociale.
La sfida del nichilismo: essa
consiste nella negazione di un originario rapporto della nostra ragione colla
realtà. Negazione che comporta una considerazione della realtà medesima alla
stregua di un’illusione o di un gioco le cui regole sono frutto di pura
convenzione. E’ la sfida al realismo della fede, perché nasce dalla negazione
della capacità della ragione di andare oltre il verificabile. Se il pensiero
cristiano non vincerà questa sfida, non usciremo dal costruttivismo
convenzionalista in cui è caduta la dottrina civile del matrimonio.
La sfida del cinismo: negata ogni
consistenza alla realtà, scompare il senso della divaricazione essenziale fra
bene/male, e con ciò il gusto della scelta libera. Ogni scelta ha lo stesso
significato, e pertanto nessuna scelta ha significato. L’etica, intesa come
passione per la custodia dell’uomo, è estinta. E’ la sfida al realismo della
speranza, perché nasce dalla negazione di un fine ultimo della vita. Se il
pensiero cristiano non vincerà questa sfida, non usciremo dall’incapacità di
mostrare l’incomparabilità di quel bene che è l’amore coniugale con quel vago e
asettico senso di amore che non sa più definirsi, ed equipara ogni forma di
convivenza.
La sfida dell’individualismo: è
il risultato delle due sfide precedenti. La convivenza umana è pensata come
coesistenza regolamentata di egoismi opposti. E’ la sfida al realismo della
carità cristiana, perché nasce dalla negazione pura e semplice della categoria
antropologico-etica della prossimità. Se il pensiero cristiano non vincerà
questa sfida, verrà meno la possibilità stessa di parlare in modo sensato e
comprensibile del matrimonio cristiano.
Il matrimonio e la famiglia sono
uno dei percorsi privilegiati per avere un’intelligenza teologica e filosofica
della verità dell’uomo, e lungo questo percorso è inevitabile oggi non essere
provocati da questa triplice sfida.
Mi piace terminare con una
riflessione. È da più di trent’anni che conosco la vostra attività. Essa è
assai preziosa, poiché si è da sempre collocata dentro ad una profonda cura
dell’humanum, dentro ad una profonda preoccupazione di sapere la verità circa
la sessualità umana. Avete seguito la via di FC.
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