"IN PAKISTAN... È SEMPRE COLPA DELLE DONNE" - La denuncia di
suor Nazreen Daniels, missionaria nella diocesi di Faisalabad
ZI12011608 - 16/01/2012
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ROMA, lunedì, 16 gennaio 2012
(ZENIT.org) - «In Pakistan le donne imparano fin dalla tenera età che gli
uomini hanno il diritto di picchiarle e maltrattarle. E si considerano degli
oggetti. Se il marito da loro da bere, bevono. Altrimenti muoiono di sete».
Suor Nazreen Daniels opera in un centro
della diocesi di Faisalabad - sostenuto in parte da Aiuto alla Chiesa che
Soffre – che assiste ragazze, donne e perfino bambine vittime di violenza.
La religiosa, appartenente
all’istituto della Beata Vergine Maria, racconta alla Fondazione pontificia
alcune toccanti testimonianze di giovani che hanno subito abusi. Come la
tredicenne Kiden, rimasta incinta dopo essere stata ripetutamente stuprata da
uno dei figli della famiglia in cui lavorava come domestica - «il lavoro
minorile è un’altra piaga che dobbiamo affrontare». O una bambina di appena
otto anni, anche lei violentata, di cui la religiosa si è presa cura non molto
tempo fa. «La loro strada è stata interrotta ancor prima di cominciare –
afferma - Qui non c’è futuro per una ragazza che è stata violentata. Nessuno la
vorrà». In una società fortemente islamizzata come quella pachistana è infatti
inconcepibile che una donna non arrivi illibata al matrimonio. «In moltissimi –
dice Suor Nazreen – espongono ancora il lenzuolo dopo la prima notte di nozze.
E senza la prova della verginità, la ragazza è rifiutata dal marito e
riconsegnata alla famiglia».
Per le vittime di violenza in
Pakistan non vi è alcuna giustizia. Occorrono molti testimoni oculari per
denunciare uno stupro: una richiesta ovviamente impossibile da soddisfare. E
spesso gli aggressori costringono le donne al silenzio servendosi della legge
antiblasfemia. La norma introdotta nel 1986 prevede l’ergastolo per chiunque
profani il Corano e la pena di morte per chi insulta Maometto. E l’accusa di
aver offeso il Profeta – che a differenza dello stupro non richiede troppe
prove - costituisce un valido motivo per
tacere.
«Qualsiasi cosa accada – continua
la religiosa - è colpa delle donne. Sono colpevoli di aver subito violenza e
colpevoli del fallimento del proprio matrimonio». Se una coppia non ha figli l’uomo
è autorizzato a sposarsi una seconda volta e la prima moglie «è trattata come
una schiava, a volte perfino costretta a dormire nella stalla assieme al
bestiame». Numerosi anche i casi di maltrattamento, omicidio e mutilazione per
motivi d’onore: a molte giovani è stato tagliato il naso o bruciato il viso con
l’acido perché hanno rifiutato di contrarre matrimonio. «E le violenze
domestiche non sono l’eccezione, sono la regola». Suor Nazreen spiega che le
donne pachistane si sono ormai rassegnate ad umiliazioni e soprusi ed hanno
accettato completamente la condizione d’inferiorità. «Alle volte chiedo alle
ragazze a cosa stiano pensando e loro mi rispondono: “Sorella, noi non
pensiamo”».
La crescente islamizzazione della
società pachistana ha poi contribuito a demolire i pochi traguardi finora
raggiunti. Come l’educazione femminile che, spiega ad ACS il vescovo di
Faisalabad monsignor Joseph Coutts, «per gli estremisti costituisce una vera e
propria spina nel fianco. Ed è per questo che hanno distrutto una dozzina di
istituti femminili nel Nord Ovest del Paese».
La Chiesa cattolica difende
strenuamente la dignità delle donne in Pakistan, attraverso scuole, corsi di
cucito e concreti aiuti alle vittime di stupro. «Ma soprattutto - afferma Suor Nazreen – cerchiamo di
diffondere la consapevolezza che siamo tutti esseri creati da Dio, con uguali
diritti».
La religiosa racconta infine
quanto sia pericoloso camminare per strada: «pochi centimetri di pelle sono
considerati un invito allo stupro». Le pachistane non si spostano mai da sole e
si coprono il più possibile. In alcune zone anche le suore sono costrette a
nascondere il volto dietro a un velo per non attirare troppo l’attenzione. Per
questo Aiuto alla Chiesa che Soffre fornisce numerose autovetture alle religiose
che operano in Pakistan: per evitare che siano costrette a spostarsi a piedi o
a servirsi dei mezzi pubblici, rischiando così di essere molestate, rapite o
stuprate.
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