LA RICERCA- Compleanno numero 54 scatta l'età della vecchiaia - Dati
shock da uno studio del ministero del Lavoro inglese che anticipa il traguardo
della terza età. I geriatri: "E' falso, si è giovani fino a 75 anni".
Gli esperti dicono che, se c'è la voglia di fare, è solo una questione di
anagrafe di MARIA NOVELLA DE LUCA(14 gennaio 2012)
SESSANTA, settanta, ottanta?
Prima, dopo, mai? Addirittura a 54 anni, come a sorpresa rivela una ricerca
inglese? O quando invece ce lo dicono le ossa, il cuore, la stanchezza, o
magari la voglia di vivere che s'appanna? Definire oggi che cosa è e quando
incomincia la vecchiaia è un quesito davvero sfuggente, e non a caso si parla,
sempre più spesso, di età libera. E dunque fa una certa impressione sapere che
qualche migliaio di giovani inglesi sotto i 25 anni, intervistati dall'istituto
di statistica e dal ministero del Lavoro britannico, ritenga che la vecchiaia
inizi a 54 anni, e che la giovinezza finisca a 32, come riportava ieri,
ampiamente, il "Daily mail". Un bel capitombolo all'indietro, se si
pensa, come sottolinea Niccolò Marchionni, ordinario di Geriatria
all'università di Firenze, "che l'inizio della terza età viene ancora
convenzionalmente fissato a 65 anni, ma in realtà oggi si diventa vecchi in
quel decennio che precede, in media, la fine della vita, è cioè oltre i 75
anni".
Perché tutto si mescola, tutto si
confonde, le soglie della demografia sono dinamiche, liquide, come mai prima
d'ora. L'età matura si allunga, è sempre più sana, in forma, sessualmente
attiva (elemento considerato fondamentale per il benessere psico-fisico) mentre
la vecchiaia si dilata, sconfinando ben oltre gli ottanta anni. "Ma nella
mia esperienza - aggiunge Marchionni - a fronte di una popolazione anziana
vivace ed attiva, ma anche colpita in modo massiccio dalle malattie
degenerative, ho visto che la vecchiaia inizia quando scompare la voglia di
fare. Quando declina l'interesse per gli altri e per il mondo. Quando la
depressione, che è purtroppo una fedele compagna dell'ultima parte della vita,
diventa incurabile e prende il sopravvento. E qui sono fondamentali le reti
d'aiuto: la famiglia, gli interessi, gli amici".
Se però, così dimostrano le
statistiche, si vive in media 84 anni per le donne e 79 anni per gli uomini,
come mai un venticinquenne "percepisce" come vecchia una persona di
"soli" 54 anni e anzi a 32 anni si considera già non più
"young", anche se con il salire dell'età degli intervistati la media
arriva ai 59 anni? C'è qualcosa che non torna, o che forse deve far riflettere,
visto che il mondo occidentale è pieno di donne che diventano mamme a 40 anni
(e la maternità è simbolicamente immagine di giovinezza), ed è pieno di
ultrasessantacinquenni saldamente produttivi nel mercato del lavoro. Per
Alessandro Rosina, demografo dell'università Cattolica di Milano, però il
teorema è semplice. "Un giovane percepisce come vecchio chi è
generazionalmente lontano da lui. E ai nativi digitali, abituati a cambiamenti
velocissimi, a possedere strumenti che mutano in continuazione ma diventano
obsoleti con altrettanta rapidità, gli adulti digiuni di quei linguaggi sembrano
abissalmente lontani. E dunque vecchi". Un elemento in più che spiega
quanto è ormai impossibile codificare un tempo, se si pensa poi, come ricorda
con leggerezza Niccolò Marchionni, "che ogni epoca ha la sua terza età,
erano i 40 anni per gli antichi romani, e infatti quella era la soglia per
poter essere nominati senatori, mentre nell'impero austroungarico di Francesco
Giuseppe, la vecchiaia arrivava a 65 anni, età di pensionamento degli
ufficiali... ".
Essere anziani è sempre più una
condizione mutevole. "Moltissimo dipende dallo stile di vita, dalle cure a
cui si può accedere, dagli interessi che restano vivi - aggiunge Rosina - e
infatti si è visto che i laureati vivono in media sette anni in più di chi
possiede soltanto il diploma di scuola superiore. Numeri che in realtà
dimostrano quanto avere passioni e impegni sia un vero e proprio
salvavita". Ma doppiati i 65, 70 anni, che sempre più coincideranno con
l'uscita dal lavoro, la vita, ricorda il sociologo Domenico De Masi, "è
davvero tutta da riscrivere". Nella prospettiva di un buon quindicennio di
esistenza da riempire, impegnare, rendere fertile.
"Credo che per la
salvaguardia del nostro futuro bisognerà abolire l'età della pensione uguale
per tutti. Perché pensione, nel linguaggio comune, viene inteso come vecchiaia.
Ma c'è chi a 65 anni vuole soltanto ritirasi a vita privata, riposarsi, fare
altro, e c'è chi, come il mio amico Oscar Niemeyer a 105 anni ancora
progetta... ". Del resto la definizione di vecchiaia è arbitraria come quella
di giovinezza. "Nell'era pre-industriale un maschio era considerato adulto
a 15 anni - spiega De Masi - e a 50 era anziano, ma visto come una risorsa
dalla comunità per la sua saggezza ed esperienza. È la fabbrica che inventa
l'età della pensione, perché superata una certa età si veniva ritenuti non più
produttivi come operai... Non c'è un'ora "X" in cui si diventa vecchi
- conclude De Masi - ad un certo punto accade, ma è diverso per tutti, e l'età,
a volte, è soltanto una questione di anagrafe".
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