martedì 10 gennaio 2012


La coscienza? Si può misurare - MASSIMO PIATELLI PALMARINI PER IL CORRIERE DELLA SERA - Martedì, 19 Ottobre 2010

Ciò che il neuropsichiatra italiano Giulio Tononi, da anni professore all’Università del Wisconsin, si prefigge di realizzare può essere riassunto in una sola, strana, parola: un coscienziometro. Pensiamolo pure come una macchinetta che misura il grado di coscienza in un soggetto umano. Zero per cento è assoluta assenza di ogni coscienza, 100% lo stato di coscienza pieno, quello in cui sono io che adesso sto scrivendo e quello in cui siete voi che adesso state leggendo. Ovviamente tutto l’interesse dell’impresa di Tononi e collaboratori sta nello studio e nella misurazione dei gradi intermedi. Per esempio, quelli che insorgono nei vari stadi del sonno e del sogno, nell’anestesia parziale o totale, in vari stati patologici vegetativi e negli stati indotti appositamente mediante la cosiddetta stimolazione magnetica transcranica, un registrati quando si inviano impulsi magnetici dall’esterno, mediante la stimolazione magnetica transcranica. Sia nel primo sonno che sotto l’effetto del midazolam, questi impulsi esterni producono reazioni cerebrali solo locali e di breve durata, a differenza di quelle assai più diffuse e sostenute registrate durante la veglia.

In un «manifesto» sulla coscienza «in quanto informazione integrata», ricco di modelli matematici, pubblicato due anni fa da Tononi nel Biological Bulletin, si legge che ciascuno sa cos’è la coscienza, ma capirla a fondo resta per adesso al di fuori dei limiti della scienza. Beh, il suo manifesto si qualifica come «provvisorio», ma sottolinea l’importanza capitale dell’integrazione dell’informazione come chiave della coscienza. Tononi usa un termine del gergo filosofico, un termine preso dal latino: i qualia, cioè la sensazione intima, cosciente, di avere, ad esempio, l’esperienza di una luce che si accende. I qualia sono la luminosità della luce, il rossore del rosso, la dolorosità del dolore, la sonorità di un suono e così via. Nessuna macchina, nessun computer, per quanto sofisticati, sentono dentro di loro tali qualità, anche se possono registrare colori o suoni, ma non, appunto, provare dolore. La differenza sta tutta, mi dice Tononi, nel tipo particolare di complessità che caratterizza gli esseri umani e magari anche, in modo ridotto, altre specie.

«Il cervelletto - precisa Tononi - ha circa 50 miliardi di neuroni, più dei circa 30 della corteccia cerebrale. La complessità biochimica e l’intrico di contatti neuronali sono del tutto comparabili. Ma bloccando il cervelletto si preserva la coscienza, mentre alterando la corteccia no. La chiave è l’enorme numero e i tipi di stati interni diversi tra i quali la corteccia può discriminare, la ricchezza del suo spazio di informazioni e il modo in cui queste sono integrate». Gli chiedo se la sincronizzazione tra gli impulsi nervosi sia, come molti sostengono, la chiave della coscienza. «No - controbatte Tononi -, è solo un correlato della coscienza, interessante, certo, ma non è la chiave di volta. Nelle crisi epilettiche c’è enorme sincronizzazione, addirittura ipersincronizzazione, ma la coscienza svanisce». Intervisto anche un altro esperto, Stuart Hameroff, capo di anestesiologia all’ospedale universitario dell’Arizona e direttore del centro di studi sulla coscienza, che tiene a Tucson un megaconvegno internazionale sulla coscienza. Dissente da Tononi su diversi punti. La chiave della coscienza non sta in tanti contatti tra tanti neuroni. Chiedo a Tononi quando ha cominciato a occuparsi della coscienza. «Da quando ero al liceo». Cosa progetta di fare adesso? Studiare meglio i pazienti in stati vegetativi e semivegetativi e abbordare il problema anche al livello dell’evoluzione della coscienza, come stato evolutivo adattativo in altre specie. La fotocellula ha due soli stati: luce e non luce. Noi abbiamo dentro migliaia di miliardi di stati, per questo avvertiamo la luminosità della luce e la sonorità del suono.

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