Un test apre nuovi scenari sull'empatia degli uomini - Bioetica - Il
filosofo Singer pone il dibattito in USA. Ma è il sintomo di una genetomania - Siamo
pronti alla pillola della moralità? Se si cancella il libero arbitrio, Massimo
Pattelli Palmarini, 31 gennaio 2012, http://www.corriere.it
Un blog del New York Times , con
un articolo del noto filosofo dell'etica e ambientalista Peter Singer,
professore a Princeton, ritorna in questi giorni su un esperimento effettuato
sui ratti all'Università di Chicago lo scorso Dicembre dal neuroscienziato Jean
Decety e dai suoi collaboratori.
L'esperimento fece molto rumore
perché, come ho avuto occasione di descrivere io stesso sul Corriere della Sera
, in essenza, aveva dimostrato che alcuni ratti (si noti: alcuni, non proprio
tutti), posti di fronte a una situazione nella quale potevano tranquillamente
mangiare della cioccolata, oppure liberare un altro ratto visibilmente
imprigionato in un tubo trasparente, preferivano agire da liberatori e poi condividere
con il compagno quella cioccolata. Nessuna differenza è stata osservata tra
ratti maschi e ratti femmine nel liberare un compagno dello stesso sesso. Sono
ancora in corso i più complessi esperimenti su maschi che liberano femmine o
l'inverso.
L'empatia, cioè la condivisione
soggettiva della sofferenza altrui, si rivela essere, quindi, evolutivamente
molto antica. Risale a circa 60 milioni di anni addietro, quando roditori e
primati avevano un antenato comune. Infatti, Decety mi conferma che i circuiti
cerebrali sono gli stessi in noi e nei roditori: i nuclei del tronco cerebrale,
l'amigdala, l'ipotalamo, l'insula e la corteccia orbito-frontale. Anche gli
ormoni responsabili dell'attivazione di questi centri cerebrali sono gli
stessi: l'ossitocina, la prolattina e la vasopressina.
Peter Singer riporta anche casi
reali del tutto opposti, cioè suprema indifferenza degli esseri umani di fronte
a una manifesta, tragica sofferenza di altri esseri umani. Si chiede se sarebbe
possibile creare una pillola dell'empatia, un farmaco che, una volta
somministrato, generasse compassione in chi ne è spontaneamente carente. Se
questo fosse farmacologicamente possibile, avremmo, per i potenziali criminali,
una terapia preventiva assai più semplice e indolore di quella rappresentata da
Stanley Kubrick nel noto film Arancia meccanica .
Immaginiamo che una simile
pillola, chiamiamola empaten , sia possibile. Decideremmo di usarla? Su chi e
perché? Immaginiamo anche che un semplice test effettuato mediante prelievo di sangue
riveli quali individui sono spontaneamente inclini all'empatia e quali non lo
sono. Vorremmo somministrare ai secondi, preventivamente, l' empaten ? Solo se
accettano, o anche se non accettano? E con quale autorità? Dove finirebbe il
libero arbitrio? I commentatori del blog di Singer offrono un vasto spettro di
opinioni, per lo più contrarie all'idea della pillola e tutte problematiche. In
effetti i problemi sono molti e tutti spinosi. Per esempio, l'autore dello
studio sui ratti, Jean Decety, ha anche verificato che nei medici e nei
chirurghi l'empatia è assai attenuata, per necessità professionali. Rise quando
gli tradussi il vecchio proverbio «Il medico pietoso fa la piaga puzzolente» e
ammise che è un proverbio saggio.
Vorremmo somministrare l' empaten
anche ai clinici?
Personalmente ritengo che si sia
tutti un po' succubi di una certa crescente neuromania e di una genetomania. Va
benissimo sondare le radici neurobiologiche e genetiche di un numero sempre
crescente di comportamenti, predisposizioni e stati d'animo. Meno bene, però,
adottare di conseguenza un atteggiamento scientista e potenzialmente
manipolatore. Il libero arbitrio è un peso, ma dobbiamo sopportarlo. Le
spontanee differenze comportamentali, caratteriali e morali tra gli individui arrecano
incertezze e complicano la vita. Provocano anche tragedie e orrori, ma la
soluzione non sarà una pillola o una stimolazione di aree cerebrali specifiche.
I progressi della neurobiologia, la neurofarmacologia e la genetica ci
consentiranno di capire meglio come siamo fatti, ci daranno un quadro più
approfondito della natura umana, ma le conseguenze dovremmo trarle noi tutti,
individualmente e collettivamente, con la mente, il sentimento, la persuasione
e l'educazione. Cureremo meglio le malattie, anche quelle psichiatriche, ma con
il pieno consenso dei pazienti. Nel blog, una signora di Arlington,
Massachusetts, chiede, come paradosso, se vorremmo accordarci in anticipo sul
punteggio finale del campionato di football. Il paragone mi sembra calzante. La
vita quotidiana è piena di incerti e non vorremmo pillole che progressivamente
li eliminassero tutti.
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