giovedì 26 gennaio 2012


Cure terminali «centellinate»? «Una condotta inumana» - La crisi minaccia anche le risorse destinate alla sanità, mentre si cerca di diffondere una cultura eutanasica. Il cardinale Bagnasco avverte:  va contrastata l’idea di un possibile abbandono Parla l’ex presidente  dei medici palliativisti Giovanni Zaninetta di Francesca Lozito, Avvenire 26 gennaio 2012  

Occorre lucidamente contrastare l’idea che per i malati terminali le cure vadano centellinate: sarebbe uno spreco non di risorse ma di retorica sui diritti fondamentali dell’uomo, una sorta di prova della verità circa la tendenza eutanasica che ammorba la civiltà europea». Così il cardinale Bagnasco lunedì nella prolusione al Consiglio permanente della Cei, in corso a Roma. Il presidente della Conferenza episcopale italiana ha dunque lanciato un serio allarme per la possibile tentazione di negare le cure in un momento in cui anche la sanità subisce ovunque i contraccolpi della crisi. Ultimi attacchi in ordine di tempo, quelli sferrati dalla Commissione inglese pro-suicidio assistito guidata da Lord Falconer, sostenitore dell’eutanasia e promotore di un nuovo progetto di legge per la depenalizzazione della "morte a richiesta" per chi vi collabora. Un progetto che non a caso sta avanzando proprio in Inghilterra, Paese nel quale più volte sono affiorati casi di pazienti terminali abbandonati per concentrare le risorse sempre più scarse della sanità pubblica su chi ha migliori prospettive di vita. Ne parliamo con Giovanni Zaninetta, primario dell’hospice della Casa di cura Domus Salutis di Brescia, già presidente della Società italiana di cure palliative. Esiste davvero il rischio di abbandono dei malati, anticamera dell’eutanasia? Se volessi lanciare una provocazione direi che questo rischio esiste da sempre. Da sempre infatti il possibile abbandono dei malati, specialmente di quelli in fase terminale, è una pratica possibile da parte di chi crede che questo tratto, l’ultimo dell’esistenza, non abbia alcun senso. Invece noi medici palliativisti crediamo che valga ancora e sempre uno dei princìpi che ha guidato la fondatrice delle moderne cure palliative, l’inglese Cicely Saunders, che amava dire ai suoi malati: "Tu sei importante perché sei tu, e sei importante fino alla fine". Non si può lasciare indietro l’ultima fase dell’esistenza nel nome di una presunta inutilità della vita che resta.  E cosa succede se le cure vengono davvero lesinate? Che non si garantisce più quella sicurezza e quella tranquillità che allevieranno il dolore – non solo fisico, ma anche psicologico – nei malati terminali. Le persone rischiano così di morire in maniera inumana, cioè sole ed abbandonate. Cosa vuol dire per un Paese come il nostro, ma anche più in generale per i Paesi più sviluppati, offrire cure palliative di qualità? Significa prima di tutto garantire un’assistenza che si faccia carico non solo degli ultimi giorni di vita ma di tutta quella fase, che può anche durare mesi, in cui le prospettive non sono né di guarigione né di prolungamento della vita ma semplicemente di una vita per quanto possibile di buona qualità. Le cure palliative devono avere come requisiti la continuità e l’integrazione. È importante la collaborazione messa in atto negli ultimi anni con i medici di famiglia, che sempre più comprendono il valore e l’importanza di un’assistenza con uno sguardo globale sul malato e sulla sua famiglia. Per quanto riguarda l’Europa, poi, è indubbio che in alcuni Paesi la qualità delle prestazioni offerte sia elevata, e mediamente migliore della nostra. Ciò accade là dove c’è una tradizione di più lunga nella pratica della medicina palliativa, col riconoscimento di percorsi accademici che invece da noi tarda ad arrivare. Come vigilare rispetto ai rischi di possibili passi indietro nella somministrazione delle cure ai malati terminali? Di certo i primi a vigilare dobbiamo essere noi operatori: siamo le prime sentinelle, visto che lavoriamo ogni giorno tra la politica che prende le decisioni in materia sanitaria e i cittadini che si trovano a dover fronteggiare necessità così esistenzialmente impegnative, sia come malati sia in quanto familiari. In secondo luogo credo che occorra una gestione virtuosa delle risorse messe a bilancio per la sanità evitando tagli sanguinosi. Su questo, però, mi sento di dire che quello delle cure palliative in Italia sia stato e sia uno dei settori più virtuosi e meno dispendiosi... 

Nessun commento:

Posta un commento