giovedì 12 gennaio 2012

 La morale che è in tutti noi di Giacomo Samek Lodovici, 12-01-2012, http://www.labussolaquotidiana.it

Il Corriere della Sera del 30 dicembre ha pubblicato un intervento di Dario Antiseri, filosofo conosciuto non solo dagli specialisti, in particolare come coautore (insieme a Giovanni Reale) di un manuale di storia della filosofia in uso alle superiori. Antiseri è uno studioso (specialmente) di filosofia della scienza, è cattolico, si qualifica fideista, nonché sostenitore (a suo modo), del relativismo e nega la possibilità di reperire una legge morale naturale.
Non possiamo ovviamente scendere qui nel merito della sua posizione e ci limitiamo solo a due tesi del suo recente intervento.
Antiseri insiste sul pluralismo etico, sul «politeismo dei valori», e dice che «È difficile dar torto a Pascal quando scrive che “il furto, l’incesto, l'uccisione dei figli e dei padri, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuose”». Ora, questa tesi è diffusissima, ma molto discutibile. Molte ricerche empiriche attestano piuttosto l’esistenza di alcuni principi morali comuni diffusi fra gli esseri umani (ovviamente il fatto delle convergenza su alcuni principi morali non fonda la loro normatività; ma questo è un altro discorso). Vari autori hanno cioè documentato che gli esseri umani sono naturalmente capaci (anche se non sempre ci riescono) di convenire su alcuni principi morali transculturali.

Ci limitiamo solo a qualche esempio:
- Clive Staples Lewis ha rilevato la ricorrenza di alcuni principi morali in culture molto diverse (babilonese, cinese, indiana, cristiana, greca, sassone, norvegese, ecc.; del resto è abbastanza noto che ci sono alcune convergenze, per esempio, tra il Decalogo di Mosè e il Codice del re babilonese Hammurabi);
- Lee Yearly ha messo in luce alcune somiglianze tra la concezione della virtù di Tommaso d’Aquino e quella del maestro confuciano cinese Mengzi (IV sec. d.C.);
- per Haidt e Joseph è vero che «gli esseri umani hanno elaborato morali enormemente divergenti come quelle dei nazisti, quelle dei Quaccheri, dei cacciatori di teste e dei giainisti. E tuttavia, se guardiamo attentamente alle vite quotidiane di persone di culture differenti, troviamo elementi morali che emergono in quasi tutte – per esempio reciprocità, lealtà, rispetto per (qualche) autorità, limiti al danneggiamento fisico, regolazione del mangiare e dell’attività sessuale»;
- anche Margaret Mead e Donald Brown hanno registrato che esistono schemi universali di comportamento sottostanti ad ogni cultura: ad esempio, ovunque sono esistite ed ovunque si trovano norme morali e leggi simili (anche se non identiche) contro l’omicidio;
- effettivamente, Dane Archer e Rosemary Gartner (che hanno confrontato 110 sistemi legali nel periodo 1900-1970) rilevano che ci sono almeno alcuni atti omicidi che tutti i sistemi giuridici condannano;
- anche Marc Hauser, mediante la somministrazione di diversi dilemmi morali a migliaia (proprio così) di persone, ha registrato una certa convergenza morale tra gli esseri umani.
Aggiungiamo (sulla scorta delle considerazioni del filosofo Diego Marconi) che alcuni comportamenti altrui che ci sembra abbiano criteri valoriali totalmente in contrasto con i nostri, in realtà (non di rado) non sono ispirati a valori davvero contrastanti, bensì a valori che anche noi approviamo. Per esempio, la pratica eschimese di uccidere o di abbandonare i vecchi ammalati risponde ad una logica di tutela del bene della collettività che anche noi occidentali, generalmente (salvo alcune eccezioni) condividiamo; la differenza sta nel fatto che alcuni (non tutti) di noi occidentali non considerano preminente il bene della collettività rispetto all’inviolabilità dell’essere umano (anche malato) e/o al dovere morale di accudire i deboli.

Inoltre, è vero che, sempre per gli eschimesi, l’infanticidio è giustificabile quando si possiedono risorse limitate per la cura dei figli, ma questo non toglie «ciò che è universale per tutti gli esseri umani, [dagli] americani [agli] eschimesi: prendersi cura dei bambini è un principio morale universale. In tutte le culture, tutti si aspettano che i genitori si prendano cura della loro prole. […] ciò che varia tra le culture sono le condizioni che consentono eccezioni alle regole, comprese quelle relative all’abbandono» (Hauser).

Anche quando una morale si discosta profondamente dalla maggior parte delle altre, per esempio se insegna la crudeltà verso gli esseri umani, lo fa non di rado sulla scorta di valori comuni: il razzismo, ad esempio, può essere insegnato facendo leva (malamente) sul valore della purezza.
Insomma, alcuni valori non mutano, e cambia piuttosto il modo di gerarchizzarli ed attuarli.
C’è poi un consenso quasi universale sulla grandezza morale di almeno alcuni uomini che hanno calcato la scena del mondo ed almeno alcuni tratti del loro carattere sono considerati quasi universalmente virtuosi.  Alcuni dei tratti del carattere di alcune figure esemplari (per esempio: Confucio, Budda, Cristo, Socrate, Gandhi, ecc.) sono transculturalmente stimati.
In sintonia con quanto fin qui detto, può essere utile rilevare anche nell’ambito della psicologia cognitiva la progressiva diffusione di una teoria che, alla luce di numerosi riscontri empirici, sostiene l’esistenza nell’uomo di una capacità morale innata: diversi sperimentatori (per esempio per Hauser, come abbiamo già detto) hanno sottoposto dei dilemmi morali a soggetti di culture diverse e, analizzando migliaia di risposte (molte delle quali sono state raccolte anche mediante il seguente progetto http://wjh1.wjh.harvard.edu/~moral/index.html ), hanno registrato una certa convergenza nel giudizio morale.
Così, diversi autori (J. Kagan, R.S. Lazarus, J. Haidt, M. Hauser e vari altri) stanno proponendo la tesi dell’esistenza di una naturale e universale disposizione umana alla comprensione generica (e non dettagliata) del bene/male. Dopodiché lo sviluppo di questa comprensione molto generica dipende dall’esperienza di ciascuno e può essere impedito o influenzato dall’ambiente in cui si vive, per cui i principi etici vengono diversamente sviluppati e applicati dai singoli e dalle culture, il che spiega le successive differenze tra le concezioni morali.
Ovviamente, la valutazione complessiva di queste teorie spetta a chi ne ha competenza; a noi interessa rilevare la loro sintonia, sul piano empirico, con le teorie che sostengono l’esistenza di una percezione spontanea universale del bene/male, sia pur assai vaga, e ci interessa la registrazione empirica dell’esistenza di alcuni principi morali universali (altre considerazioni su questo argomento in G. Samek Lodovici, L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù, 2010, pp. 219-229).
Antiseri ha inoltre scritto: «Viene da chiedere a tutti gli antirelativisti: tolleranza e democrazia sono possibili tra quanti si sentono in possesso di Valori esclusivi? Costoro non si sentiranno in diritto d’imporre il «Vero» e il «Bene»? E ha concluso con «una domanda ai cattolici antirelativisti: vi pare facile replicare a Karl Heim quando scrive che “i cristiani contemporanei dovrebbero dare il loro sostegno a coloro che relativizzano il mondo e l'uomo”»?
Anche queste tesi sono diffusissime. Ma le cose non stanno per nulla come dice Antiseri.
Infatti, se è vero che alcuni totalitarismi hanno preteso di giustificare se stessi sul fondamento di presunte verità, si trattava appunto di verità presunte, che erano clamorosamente da rigettare sulla base di una “vera verità” (che non possiamo qui argomentare), quella sulla preziosità incommensurabile dell’uomo: il totalitarismo può essere moralmente condannato in qualsiasi caso solo se è conoscibile la verità secondo cui l’uomo possiede una dignità incommensurabile, che non si deve assolutamente calpestare. Altrimenti, se la dignità umana di ognuno è relativa a come la percepisce ogni persona (per Tizio è intangibile, per Caio è calpestabile, per Sempronio è calpestabile in certi casi ma non in tutti, ecc.) che cosa impedisce moralmente ad una maggioranza di sterminare una minoranza, se questa maggioranza ritiene che la dignità umana sia calpestabile? E non basta aver pattuito delle regole di reciproco rispetto: dev’essere oggettivamente vero che è moralmente doveroso rispettare tali regole.
Solo la conoscibilità della verità può far da baluardo teorico contro ogni tipo di intolleranza e di malvagità umana, compreso il totalitarismo. Infine, come ha scritto Francesco D’Agostino su Avvenire del 7 gennaio, molti i relativisti cadono in contraddizione quando e se affermano come assoluti valori come tolleranza, democrazia e libertà.

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