Sanità, una responsabilità da condividere, 24/1/2012, di IGNAZIO
MARINO*, http://www.lastampa.it/
Caro Direttore, è giusto che un
ospedale al termine di un ricovero dimetta il paziente consegnandogli un
documento che riassuma le spese che il Servizio sanitario nazionale ha
sostenuto per lui? La Regione Lombardia e la Regione Piemonte hanno deliberato
che nei prossimi mesi ogni paziente, al momento di congedarsi dall’ospedale
riceverà, oltre alla lettera di dimissioni, il conto: una nota a due voci dove
saranno registrate separatamente la somma eventualmente pagata dal paziente e i
costi sostenuti dal servizio pubblico. E’ una scelta che non ha mancato di
aprire un dibattito, in primo luogo tra i medici. E’ stato osservato che
parlare di costi può essere umiliante per il malato e controproducente per il
medico che non dovrebbe essere distolto dalla sua missione con questioni
finanziarie. Sono osservazioni non prive di fondamento, eppure occorre avere la
serietà di ripetere che quando si parla di salute si parla anche di risorse che
non sono, neanche in questo campo, infinite. Lo sanno bene i medici di
famiglia, da anni invitati a evitare prescrizioni inutili e superflue, ed è
bene che ne siano consapevoli anche i cittadini. Se la spesa sanitaria va
razionalizzata, allora è saggio coinvolgere e responsabilizzare in questo
processo proprio gli utenti del servizio sanitario.
L’obiettivo non è certo quello di
convincerli a non curarsi, o a curarsi di meno, ma quello di ragionare tutti,
operatori e utenti, in termini di utilità/inutilità di una prestazione o di un
servizio. Prima ancora di bilanci o di tetti di spesa, il criterio cui fare
riferimento deve essere quello dell’appropriatezza della cura e dunque della
necessità di un intervento sanitario. A prescindere dai costi, se una
prestazione è necessaria, va garantita. Se non lo è, è saggio, se non doveroso,
evitarla anche perché sottrae risorse economiche preziose per interventi
irrinunciabili.
Nel nostro Paese si sprecano
fiumi di denaro per i cosiddetti ricoveri inappropriati: in altri Paesi il
paziente fissa la data dell’operazione con il proprio chirurgo, poi si fa
visitare dall’anestesista e dagli altri specialisti e il ricovero avviene solo
la mattina del giorno stabilito per l’operazione. Si ha idea di quanto si
risparmia? In Italia, solo in Friuli Venezia Giulia il malato è ospedalizzato
la notte prima dell’intervento; nel Lazio i giorni in più precedenti
l’intervento sono in media tre, nel Sud in generale diventano 4 o 5, al costo
di mille euro al giorno. E questo per 400.000 interventi programmati ogni anno.
Inoltre, potendo scegliere, qual è il malato che opterebbe per stare in una
stanza con quattro o cinque letti quando potrebbe stare a casa sua sino al
giorno dell’operazione? E quei soldi così sprecati non saranno disponibili per
coprire le spese di un esame diagnostico o per ridurre il ticket su di un
farmaco. E’ in questa logica che i cittadini possono essere invitati a
partecipare in prima persona ad una riflessione sulla spesa sanitaria. In
questo modo potranno avere voce in capitolo ed esprimersi sulle scelte di
politica sanitaria delle strutture pubbliche. E’ quanto accade in molti paesi
occidentali dove si parla di consumer-driven health care e dove gli utenti dei
servizi sanitari possono pronunciarsi attraverso appositi comitati. Potremmo
pensare all’istituzione di Comitati consultivi di Controllo, costituiti e
gestiti da cittadini appartenenti ad una Asl, che potrebbero esprimersi sulla
programmazione sanitaria, suggerire modifiche o miglioramenti
nell’individuazione delle priorità nell’uso delle risorse. Sarebbe un
significativo passo avanti per una maggiore trasparenza ed efficienza del
servizio sanitario. E per una democrazia partecipata.
* Chirurgo, presidente della
Commissione parlamentare di Inchiesta sul Servizio sanitario nazionale
Nessun commento:
Posta un commento