Origini teologiche dei diritti umani, Il Foglio, 19/1/2012, http://www.libertaepersona.org
Nel loro “Filosofia”, vol. I, C.
Esposito e P. Porro raccontano come nei primi secoli del cristianesimo i pagani
cresciuti alla scuola dei filosofi antichi non comprendevano soprattutto due
idee innovative proprie della teologia cristiana: la creazione e l’Incarnazione.
Sono concetti filosofici che in
qualche modo, come dimostra la battaglia continua sulla bioetica, non sono
compresi neppure oggi. Si sono persi, dopo essersi imposti per secoli,
sconfiggendo il pensiero filosofico antico.
La creazione biblica è “creazione
dal nulla”: essa comporta l’affermazione secondo cui l’Essere assoluto non
coincide con il mondo. Un’idea che risultava inconcepibile a chi, come
Aristotele, riteneva che l’universo non fosse mai cominciato e fosse destinato
a durare in eterno, in quanto senza un inizio e senza fine. Un’ idea che oggi,
che sappiamo che il mondo è cominciato e finirà, rimane purtuttavia
incomprensibile, per un altro motivo: ciò che è mondano è divenuto l’unico
orizzonte in cui ci muoviamo. Sono i valori che la cultura contemporanea impone
che rendono di fatto eterna la finitudine del mondo.
Il concetto di creazione porta
con sé, soprattutto, una nuova antropologia: dove vi è un Dio Creatore,
infatti, l’uomo non è più annullato nella materia, parte cangiante di essa, da
sempre e per sempre esistente (monismo materialista), e neppure parte della
divinità, frammento di essa, negato come individuo (monismo panteista). No,
nella concezione della creazione, l’uomo non coincide con una particella di
Dio, non si annulla in Lui, e neppure nella materia: è a immagine e somiglianza
di Dio, unico, irripetibile, individuale, nell’anima e nel corpo.
E’ da questa visione che è
derivato il concetto cristiano di dignità del singolo e di diritti umani in
senso cristiano. Se l’uomo è creatura, infatti, non è padrone della vita, né
sua né del suo prossimo, in quanto, appunto, creato: in questo caso i diritti
delle persone derivano anzitutto dal dovere di ogni uomo verso Dio, dal suo
limite ontologico. L’uomo non può fare tutto ciò che vuole, perché non è
padrone della realtà, e quindi del bene e del male. In secondo luogo, però, i
diritti umani provengono non solo da un limite, ma anche da un attributo
positivo: la dignità dell’uomo sta soprattutto nel suo essere creato “a
immagine e somiglianza di Dio”.
A ciò si aggiunga l’Incarnazione.
Questo dogma non fa che accrescere l’ importanza dell’uomo, lo eleva
ulteriormente: Dio ha scelto di farsi come noi, per redimerci; ha voluto
vestire la condizione umana, elevando l’uomo al cielo, riscattandolo dal
peccato originale. L’uomo è degno dell’ amore immenso di Cristo.
Si può ben comprendere allora
perché sant’Ambrogio nel suo commento al libro della Genesi, l’Esamerone,
attribuisca all’uomo, nel pieno rispetto del pensiero biblico, un posto e un
ruolo nell’universo assolutamente nuovo. Per Ambrogio la creazione si conclude
“con la formazione di quel capolavoro che è l’uomo”, “gloria di Dio”, “culmine
dell’universo e suprema bellezza di ogni essere creato”. Per Ambrogio la
creatura umana riassume, ricapitola, contiene in sé la complessità degli esseri
creati, ed è il senso e il fine di tutto l’universo. Il santo vescovo di Milano
arriva a scrivere: “Creò il cielo, e non leggo che si sia riposato; creò la
terra, e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non
leggo che nemmeno si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo
punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati”.
Da questa visione cristiana, che
fa del limite e della grandezza dell’uomo due facce della stessa medaglia,
l’origine e il perché della sua dignità, è nato il riconoscimento della dignità
degli schiavi, delle donne, dei bambini, dei malati….Qualcosa di nuovo, che non
era mai accaduto prima dell’avvento di Cristo e della Chiesa.
Ma questa dignità è oggi
nuovamente negata per i bambini malformati, o “inopportuni”, o per gli embrioni
rinchiusi nella provetta o uccisi per esperimenti di clonazione, e lo sarà, a
breve, per i malati terminali e chissà ancora per chi. L’origine di questa
nuova visione sta nel capovolgimento dei dogmi cristiani ricordati: l’uomo non
si riconosce più creatura dipendente, e quindi nega ogni limite, imposto
dall’alto, nella sua azione rispetto ai propri simili; i quali, non essendo
dotati di una dignità immensa, perché non più “a immagine e somiglianza di
Dio”, non più amati, né voluti né redenti da Lui, possono essere soppressi dal
più forte.
Il medico che uccide un bambino o
un malato e lo scienziato che clonano l’uomo, dunque, non riconoscono la
propria creaturalità, e cioè il proprio limite, in nome di una cultura che si
presenta, falsamente, come emancipatrice dell’uomo. Ma così facendo, nel
contempo, finiscono per negare anche quella grandezza dell’uomo, compresa la
loro, che credono di affermare. “Se è grave alterare l’opera di Dio (cioè
l’uomo, ndr)- scrive sempre Ambrogio-, che diremo di coloro che uccidono
l’opera di Dio, che versano sangue umano, che tolgono la vita che Dio ha
dato?”. Il Foglio, 19/1/2012
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