Un brutto spettacolo, in tutti i sensi di Massimo Introvigne, 13-01-2012,
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Sta per arrivare a Milano, il 24
gennaio, lo spettacolo «Sul concetto di volto nel Figlio di Dio» del regista
Romeo Castellucci, che in Francia è stato contestato da vigorose proteste di
ambienti cattolici, le quali peraltro hanno diviso gli stessi vescovi francesi.
Alcuni hanno appoggiato le proteste, altri le hanno condannate. La stessa Radio
Vaticana l'8 novembre scorso ha dato atto di «difficoltà» dei vescovi a trovare
una linea comune. Non è improbabile che le stesse «difficoltà» si ripresentino
in Italia, a fronte di manifestazioni organizzate per contestare la
rappresentazione dello spettacolo al Teatro Parenti di Milano. Un brutto
spettacolo, in tutti i sensi.
Consapevole che tra i cattolici -
e certo anche fra i lettori - ci sono posizioni legittimamente diverse su quale
sia l'atteggiamento più opportuno da assumere, vorrei riassumere i dati
essenziali del dibattito, alcuni dei quali rischiano di sfuggire a molto.
Primo: di che cosa stiamo parlando esattamente? Lo
spettacolo di Castellucci ha come tema la decadenza del corpo umano, messa in
scena attraverso l'incontinenza di un padre che non riesce a trattenere le
proprie feci, di cui la scena si riempie continuamente, accudito con pazienza
da un figlio. Sullo sfondo, un grande volto di Cristo tratto dal noto dipinto
di Antonello da Messina (1429 o 1430-1479). Nella versione dello spettacolo
presentata al Festival di Avignone dei personaggi, fra cui alcuni ragazzini,
lanciano granate contro il dipinto: ma sembra che questa scena sarà esclusa
dalla versione di Milano. Alla fine, il volto di Cristo è invaso anch'esso da
liquami che danno al pubblico l'impressione - ampliata in alcune
rappresentazioni da effetti olfattivi - degli escrementi, mentre appare la
scritta in inglese «You are my shepherd» (Tu sei il mio pastore), con un «not»
in caratteri più scuri che è insieme presente e assente, così che in ogni
momento la scritta può anche essere letta come «Tu non sei il mio pastore».
Il regista Castellucci ha più
volte dichiarato che il suo spettacolo non è affatto blasfemo. Non vuole
incitare al disprezzo del volto di Cristo - e in questo senso si
differenzierebbe da altri spettacoli esplicitamente anticristiani o
anticlericali - ma sottolineare
l'estrema «kenosis» o abbassamento del Figlio di Dio, che ha voluto
coinvolgersi nella condizione umana fino al disfacimento e agli escrementi.
Insieme, afferma Castellucci, lo spettacolo - senza prendere posizione -
vorrebbe mettere in scena tutta la gamma delle reazioni contemporanee al volto
di Cristo, dal rifiuto totale - le granate lanciate contro il dipinto - fino
alla sofferta accettazione, coinvolgendo gli stessi spettatori. Ciascuno,
sembra dire Castellucci, deve scegliere qual è la sua reazione al volto di
Cristo, sfigurato dagli uomini e segno di contraddizione. Il regista non
impone una reazione particolare ma
invita ogni spettatore a scegliere.
Le giustificazioni di Castellucci
- anche prendendole per buone, benché rimanga forte il sospetto che oggi la
provocazione serva soprattutto a «vendere» uno spettacolo e ad attirare
l'attenzione - richiamano però equivoci tipici della produzione artistica moderna.
Il primo è che il brutto, il ripugnante, lo schifoso abbiano un effetto
catartico e possano suscitare reazioni liberatorie o risposte positive: una
posizione teorizzata dal filosofo francese Georges Bataille (1897-1962) proprio
con riferimento agli escrementi. Ma questa posizione è falsa, e si lega in
Bataille a un primato della morte e del disfacimento sulla vita che sembra
emergere anche nell'opera di Castellucci. Come insegna anche il Magistero della
Chiesa, l'uomo aspira al bello - che è una porta per accedere al vero e al
buono - e la sua normale reazione al brutto e al ripugnante non ha nulla di
positivo. Incntrando gli artisti, il 21 novembre 2009, Benedetto XVI ha messo
in guardia dagli effetti profondamente negativi di produzioni artistiche che
assumono «i volti dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine
a se stessa».
Questa citazione del Papa
richiama il secondo equivoco: l'idea che tutto possa essere rappresentato,
purché l'artista offra una giustificazione credibile e politicamente corretta.
Non è così. L'oscenità e la trasgressione,
per usare le parole del Papa, sono dati oggettivi. Non dipendono dalle
intenzioni dell'artista. Se qualcuno - è successo - mette in scena uno stupro di
gruppo con tutte le sue caratteristiche più oscene e ripugnanti, e poi afferma
che il suo scopo è denunciare la violenza contro le donne, il presunto fine
condivisibile del regista non giustifica il mezzo, che rimane oggettivamente
pornografico. Il fine non giustifica i mezzi, neanche in campo artistico: una
verità difficile da accettare per una società immersa nel relativismo, per cui
non esistono valori oggettivi o azioni intrinsecamente cattive, ma ogni azione
va valutata caso per caso con esclusivo riferimento alle intenzioni di chi la compie.
Dunque noi non possiamo giudicare
le intenzioni di Castellucci, né sapere veramente se le sue giustificazioni
sono sincere oppure difensive, strumentali e pubblicitarie. Ma possiamo e
dobbiamo affermare che le intenzioni non sono il criterio ultimo ed esclusivo
per giudicare quello che vediamo. Lo spettacolo nella sua sequenza finale - gli
escrementi sul dipinto - mette in scena qualche cosa che è brutto, ripugnante e
- in quanto si accosta a Gesù Cristo senza il rispetto dovuto a Colui che è
veramente il Figlio di Dio - anche offensivo per i credenti, i quali non sono
obbligati a tollerarlo in nome di una concezione relativista, dominante ma
sbagliata, secondo cui spetterebbe solo all'artista dire qual è il senso e il
significato delle sue opere.
Se le cose stanno così, perché i
vescovi e i cattolici si sono divisi in Francia, ed è probabile che questo
avvenga anche in Italia? Per due ragioni, una soggettiva e una oggettiva. Non
bisogna nascondere la ragione soggettiva, senza la quale si rischia di non
capire tutta la controversia. Benché sia
vero che in Francia alla protesta abbiano partecipato personalità e gruppi
molto diversi fra loro, l'impressione che si è avuta è che la contestazione
contro Castellucci sia stata egemonizzata da realtà che rifiutano il Concilio
Ecumenico Vaticano II e sono in frequente conflitto con la gerarchia cattolica,
con una presenza costante e visibile di sacerdoti della Fraternità Sacerdotale
San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre
(1905-1991). Senza generalizzare, ci sono segnali che qualche cosa di simile
possa avvenire anche in Italia. È evidente che molti vescovi non si sentano di
legittimare, in qualsiasi modo, una dirigenza che contesta la loro autorità e
il Magistero della Chiesa sul Concilio. E che talora si esprime anche con modi
perentori e arroganti, quasi che volesse insegnare ai vescovi a fare il loro
mestiere.
La seconda ragione di perplessità
attiene alla modalità delle proteste. In qualche modo, modalità e richieste
sono collegate. Una modalità particolarmente clamorosa e rumorosa si lega alla
richiesta perentoria che lo spettacolo non sia messo in scena. Ma questo
solleva degli interrogativi. La richiesta di resipiscenza a Castellucci o alla
direzione dei teatri che lo ospitano è del tutto legittima. Ma, se costoro non
cambiamo idea, che cosa chiede esattamene la protesta? Che intervenga la
magistratura? Che, se le leggi sui cosiddetti crimini di odio che offendono
intere comunità non sono adeguate, si rafforzino le leggi? In questo caso, non
ho timore di dire che sono molto perplesso. Un anno di lavoro all'OSCE
(Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), tra l'altro
proprio nel settore dei crimini di odio, ha rafforzato queste mie perplessità.
Piaccia o no - e a me personalmente non piace - abbiamo a che fare con uno
Stato tipicamente moderno, per non parlare delle istituzioni europee
sovranazionali che sempre di più lo controllano, che non fa sostanzialmente
differenze fra le varie comunità oggetto di offese collettive: i cattolici o i
musulmani, chi ha sensibilità per i valori della famiglia o gli omosessuali. Se
si amplia la categoria e si danno ai giudici armi più incisive per colpire i
crimini di odio, sperando che le usino contro le offese ai cristiani, si creano
strumenti - nella situazione attuale, che non è affatto ideale ma è quella con
cui abbiamo a che fare - che saranno usati, molto più facilmente e molto prima,
per colpire offese vere o presunte ai musulmani o agli omosessuali. Davvero
vogliamo che sia la procura di Milano a decidere - al di là dei casi più
macroscopici ed evidenti già previsti dalle leggi attuali - quali spettacoli, e
domani quali libri, articoli o trasmissioni radiofoniche percepiti come
offensivi da questo o quel gruppo vanno bene e quali no? Non è facile prevedere che in questo caso
certi giudici verranno a prendersela a vario titolo con noi molto prima che con
i vari Castellucci?
Domande complesse, me ne rendo
conto, su cui è normale che anche tra i buoni cattolici ci siano risposte
diverse. Ma che invitano, almeno, a non aggiungere al brutto spettacolo di
Castellucci quello, a diverso titolo sgradevole, di volere a tutti i costi
tirare per la veste episcopale i vescovi, anche italiani, che dovessero
comportarsi in modo diverso dalle aspettative dei contestatori.
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