Caro mons. Urso, sulle coppie gay si sbaglia di Massimo Introvigne, 18-01-2012,
http://www.labussolaquotidiana.it
Eccellenza Reverendissima mons.
Paolo Urso, vescovo della bella città siciliana di Ragusa,
Le indirizzo questa lettera
aperta dopo avere letto non solo la Sua discussa e ormai famosa intervista al
Quotidiano.net – uscita con il titolo «Il vescovo Urso: “Lo Stato riconosca
l’unione gay”» –, ma anche le precisazioni che ha ritenuto opportuno fornire al
sito locale Ragusa News.
La ringrazio, anzitutto, per le
precisazioni. Mi fa piacere leggere che come pastore condivide la posizione del
«Catechismo della Chiesa Cattolica» e del Magistero in genere, e ribadisce che
«quella dell’omosessualità è oggettivamente una cosa disordinata». Lei ha
ragione: non si deve confondere l’accoglienza e l’accompagnamento delle persone
omosessuali, che fanno parte della grande misericordia e capacità di ascolto
della Chiesa, con gli atti omosessuali, che rimangono «oggettivamente
disordinati». Considerata la grande confusione che regna sul punto, affermare
che quello degli omosessuali è semplicemente «un percorso differente» può forse
prestarsi a interpretazioni ambigue. Ma aiuta a fare chiarezza la Sua
precisazione che «Gesù avvicinava le prostitute, i peccatori, ma non per questo
li condivideva».
D’accordo, dunque. E non mi
verrebbe mai in mente di mettermi a dare lezioni di morale a un vescovo. Come
ho scritto ad altro proposito su questo giornale, nutro viva antipatia per chi
tira i vescovi per la veste episcopale cercando d’insegnare ai presuli a fare
il loro mestiere.
Tuttavia, nella Sua intervista,
Lei fa una distinzione che mi permette, sempre – ci mancherebbe altro – con il
dovuto rispetto dovuto a un successore degli Apostoli, d’intervenire come
laico. Afferma infatti che altro è il giudizio morale, altra è la valutazione
politica, su cui Ella si esprime come cittadino italiano. In quanto cittadino,
«educato alla laicità dello Stato», Lei afferma che lo Stato deve riconoscere
le unioni di fatto: «Uno Stato laico come il nostro non può ignorare il
fenomeno delle convivenze, deve muoversi e definire diritti e doveri per i partner.
Poi la valutazione morale spetterà ad altri».
E questo riconoscimento dovrebbe
estendersi anche alle unioni omosessuali. «Quando due persone decidono, anche
se sono dello stesso sesso, di vivere insieme, è importante che lo Stato
riconosca questo stato di fatto. Che va chiamato con un nome diverso dal
matrimonio, altrimenti non ci intendiamo».
Qui, naturalmente, non stiamo più
parlando di teologia morale – di cui i vescovi sono per definizione maestri –
ma di politica, un ambito dove l’instaurazione cristiana dell’ordine temporale,
come insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II, è compito primario dei laici.
Non mi sembra dunque di commettere un’invasione di campo segnalandoLe alcuni
elementi di fatto e di principio che sembrano militare oggettivamente contro la
Sua posizione.
Parto da un tema di fatto. È
apprezzabile che Lei ribadisca che, comunque, una unione omosessuale non è un
matrimonio, e che se si arrivasse a chiamare «matrimonio» un’unione fra persone
dello stesso sesso questo causerebbe seri problemi sociali. Di fatto, tuttavia,
la maggioranza dei Paesi che hanno concesso forme di riconoscimento alle unioni
fra persone dello stesso sesso hanno poi introdotto leggi che hanno
effettivamente creato un «matrimonio» omosessuale, chiamato proprio con questo
nome. Il Magistero cattolico ha parlato più volte di una «legge del piano
inclinato»: se si apre la porta al riconoscimento di queste unioni con il nome
di PACS, DICO o simili, il matrimonio è dietro l’angolo come tappa successiva.
Mi permetto di consigliarLe la
lettura del libro sul matrimonio omosessuale del filosofo francese Thibaud Collin.
Collin si definisce un sostenitore pentito dei PACS (Patti Civili di
Solidarietà), nati in Francia e da qui esportati in tanti altri Paesi. Aveva
accettato i PACS, scrive, perché lo avevano convinto che questi erano
l’alternativa al matrimonio omosessuale, che Collin considera un rischio
mortale per la famiglia. Date agli attivisti omosessuali i PACS, gli dicevano i
suoi amici: avranno risolto i loro problemi, e non chiederanno più il
matrimonio. Senonché non si era ancora asciugato l’inchiostro della firma
dell’allora presidente Jacques Chirac sulla legge sui PACS che già quegli
stessi che avevano usato questo argomento si affrettavano a presentare proposte
di legge per il matrimonio omosessuale, che hanno fatto il loro cammino e ora
ritornano nella campagna elettorale francese. Dunque mentivano: i PACS (o DICO,
o come altro li si chiami) non sono l’alternativa ma l’apripista al matrimonio
omosessuale. Dopo il quale verranno – la Gran Bretagna insegna – il diritto
delle coppie gay ad adottare bambini, e l’obbligo per gli enti anche privati
(compresi quelli cattolici, a pena di chiusura) che si occupano di adozioni a
non discriminare fra coppie etero e omosessuali quando si tratta di scegliere a
chi dare in adozione un bambino. «Legge del piano inclinato», appunto.
In realtà, lo scivolamento sul
piano inclinato comincia prima del riconoscimento delle coppie omosessuali.
Comincia quando si riconoscono le coppie di fatto, anche se composte da persone
di sesso diverso. Contrariamente a quanto Lei afferma, questo riconoscimento è
una vera minaccia per il matrimonio. Il 12 gennaio 2006 il Papa ha ricordato
agli amministratori di Roma e del Lazio che è «un grave errore oscurare il
valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio,
attribuendo ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei
quali non vi è, in realtà, alcuna effettiva esigenza sociale». L’11 gennaio
2007, parlando di nuovo agli stessi amministratori romani e laziali, Benedetto
XVI è tornato sul punto, definendo «pericolosi e controproducenti quei progetti
che puntano ad attribuire ad altre forme di unione impropri riconoscimenti
giuridici, finendo inevitabilmente per indebolire e destabilizzare la famiglia
legittima fondata sul matrimonio».
Temerei di annoiarla, eccellenza,
elencando le molte altre volte in cui il Pontefice ha ripetuto lo stesso
concetto. Questi riconoscimenti sono «impropri», «pericolosi»,
«controproducenti»; destabilizzano i matrimoni; sostenerli è un «grave errore».
Ma forse il Papa continua a ripetere le stesse cose perché molti non le
ascoltano.
Quanto poi al riconoscimento
delle unioni omosessuali, nel discorso di auguri natalizi alla Curia romana –
come sa, un genere letterario che offre sempre l’occasione al Pontefice per
interventi particolarmente importanti – del 22 dicembre 2006, Benedetto XVI ha
osservato che il problema è ancora più grave, perché tocca la natura stessa
della persona umana. In effetti, tali riconoscimenti non propongono nulla di
meno che «la relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così uguale
il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso.
Con ciò vengono tacitamente confermate quelle teorie funeste che tolgono ogni
rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si
trattasse di un fatto puramente biologico; teorie secondo cui l’uomo – cioè il
suo intelletto e la sua volontà – deciderebbe autonomamente che cosa egli sia o
non sia. C’è in questo un deprezzamento della corporeità, da cui consegue che l’uomo,
volendo emanciparsi dal suo corpo – dalla “sfera biologica” – finisce per
distruggere se stesso».
Anche in questo caso, il Papa ha
risposto all’obiezione consueta, che ormai suona come un disco rotto, secondo
cui la laicità dello Stato imporrebbe tali riconoscimenti, e la Chiesa dovrebbe
tacere. «Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari,
allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non ci interessa? I
credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il
diritto di pronunciarsi in tutto questo? Non è piuttosto il loro – il nostro –
dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio
nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio?».
Ecco, Eccellenza, Lei è noto ai
Suoi diocesani per alzare la voce per molte cause, fra cui nella recente
intervista ricorda come a Lei particolarmente care la lotta contro la base NATO
di Comiso e quella per un «raccordo stradale migliore tra Ragusa e Catania».
Quest’ultima causa è certamente popolare a Ragusa. Ma, vedendo le cose da più
lontano, mi piacerebbe – con il dovuto rispetto – che ci fosse un raccordo
migliore pure fra le Sue prese di posizione sul riconoscimento delle unioni di
fatto, anche – o in particolare – fra persone dello stesso sesso, e quelle del
Magistero pontificio: a chiarezza ed edificazione dei cattolici, a
illuminazione della politica che ne ha tanto bisogno, e a maggior gloria di
Dio, anche sociale.
Nessun commento:
Posta un commento