J’ACCUSE/ Quel "desiderio" di aborto mascherato dietro un
esame di Carlo Bellieni, martedì 10 gennaio 2012, http://www.ilsussidiario.net
È appena uscito uno studio
inglese (gennaio 2012) sul destino dei feti cui è diagnosticata la sindrome di
Turner. Morale: il 65% è stato abortito. Ma, pur con la certezza che nessuna
malattia di un feto ne giustifica la soppressione, qui si tratta di bambine
(sono femminucce) che come tratto distintivo avranno quello di essere
abbastanza basse di statura e in certi casi di non poter aver figli. Che i genitori
che le hanno abortite siano stati atterriti dallo “spaventoso dramma” di non
poter diventare nonni?
E non è un problema solo inglese:
i dati italiani sono simili: la regione Emilia Romagna virtuosamente è tra le
poche che mettono on line il loro registro delle anomalie genetiche, e nel suo
registro IMER (www.registroimer.it) vediamo che dal 2006 al 2008 su 22 feti con sindrome Turner, ne sono stati
abortiti 14, cioè il 63,6%. Come chiamate voi questo clima che elimina oltre la
metà di feti perché saranno piccoli e (forse) sterili? Questo ci riporta al
dibattito (ormai sopito, censurato e nascosto) se la diagnosi prenatale
genetica sia uno strumento eticamente neutro. Già, si potrà dire che nessuno
obbliga nessun genitore ad abortire, che si ha diritto di conoscere, ecc. Ma,
se uno non vuole abortire, non si capisce perché voglia sapere “in tempo utile
per l’aborto” se il figlio ha un’anomalia genetica (e in questo caso, che
anomalia!). E si potrà anche dire che chi fa la diagnosi non è spesso il medico
che fa l’aborto. Certo, ma se l’esito è quello sopra descritto, un po’ di
preoccupazione a qualcuno dovrebbe venire.
Oltretutto è chiaro che basta
sentire parlare di “anomalia” che scatta subito non tanto l’allarme (che
ovviamente è giustificato), ma anche il pensierino all’aborto, dato che la
percentuale di bimbe Turner abortite è pari a quella dei bambini Down abortiti:
dunque l’eliminazione non fa differenze sottili tra malattie; più che altro
rispecchia la precedente predisposizione della coppia ad accettare la malattia
del figlio, qualunque malattia sia; cioè ad accettare che il figlio non sia
“perfetto!” Cosa che però - ripeto
- se accettavano a priori, non si vede
perché dovessero andarlo a controllare con un esame oltretutto pericoloso per
la salute del feto stesso, dato che ne può provocare la morte. Insomma: la
diagnosi prenatale genetica (fatta con amniocentesi o solo con delle ecografie
mirate che oggi fanno tutte le donne come screening) è davvero neutra?
La possiamo paragonare al
coltello che una persona usa per tagliare il pane e un’altra per scopi meno
buoni, ma sempre coltello - dunque né cattivo, né buono - resta? Oppure sarebbe
meglio paragonarla a una torta enorme che mettiamo in tavola invece del pranzo
normale a una banda di bambini di due anni? Certo, nessuno li obbliga a
mangiare troppo; e magari a molti la mamma avrà detto di stare attento e non
esagerare; ma a quanti viene poi il mal di pancia?
Già, perché è vero che gli
“strumenti” sono neutri, ma se vengono usati in un momento di fragilità non lo
sono più. E quanto è fragile il periodo della gravidanza… e quanto è fragile
l’uomo della società post-moderna, tutto infervorato nel culto della perfezione
fisica e nella fobia delle malattie. E si noti che ho volutamente usato un
esempio “soft”, per non irritare nessuno, ma le conseguenze finali che abbiamo
illustrato all’inizio dell’articolo sono ben diverse da un mal di pancia.
Non pensate che, soprattutto chi
dà consigli morali e si occupa di etica, magari preoccupato per il numero di aborti,
ma purtroppo poco dal clima culturale che precede e circonda gli aborti stessi
(dunque in deficit di capacità educativa), dovrebbe riflettere?
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