martedì 10 gennaio 2012


Avvenire.it, 10/01/2012 - Biotecnologie, il terrificante Eldorado di Frankenstein?
  
Nel suo ultimo saggio (Passaggio d'epoca, Marietti), con la consueta lucidità Pietro Barcellona scrive: «Il problema della vita, o meglio del potere sulla vita e del rapporto tra vita e potere, che per un lungo periodo della storia umana è stato relegato alla dimensione privata, è divenuto la posta in gioco del nostro tempo. Il dominio della vita consiste nel sostituire la natura nei meccanismi del vivente, arrivando alla produzione della vita per mezzo della tecnica, attraverso tecniche di manipolazione e di appropriazione del vivente; oltre ad infrangere ogni sacralità della vita, si afferma così un processo di frantumazione dell'individuo, non più percepito come persona organica, in cui gli aspetti psicologici sono indivisibili dal corpo, ma come entità fisica divisibile in più parti e implementabile con reti neurali e microchip». Mi si perdoni la lunga citazione ma non si sarebbe potuto esprimere meglio quella che nel libro si osa definire, correttamente, «trasformazione antropologica dell'essere umano». L'analisi di Barcellona poi prosegue soffermandosi in particolare sia sul ruolo che il capitalismo si trova a giocare in questa nuova scena (ecco quella che già non è più solo una tetra profezia: il business del futuro, in effetti, non riguarderà tanto il mondo degli oggetti e neppure quello dei valori, quanto piuttosto il mondo della vita stessa: cellule, ovuli, organi, eccetera. Si sta così configurando all'orizzonte un magnifico e terrificante Eldorado costruito attorno a biotecnologie e a manipolazioni genetiche che non a caso vivono come un'ingerenza insopportabile e come una perdita di tempo, addirittura come una vera e propria violenza, l'introduzione di un qualsiasi principio, filosofico, morale, religioso, che tenti di mettere ordine in questo campo); sia su quel «matrimonio fra tecnica e scienza (che) è la nuova metafisica», la stessa che sostituisce a ogni finalismo umano il finalismo dell'evoluzione biologica: «La biotecnologia modifica alla radice il concetto di vita, mettendo nelle mani dell'essere umano [evidentemente, ritorna l'essenziale riferimento al capitalismo, non di ogni essere umano, ma solo di coloro che hanno i mezzi e le possibilità: già questa banale considerazione è sufficiente ad alimentare quel sospetto che solo dei militanti del non pensiero possono qualificare come una chiara manifestazione dell'"oscurantismo antiscientifico"] non solo un potere manipolativo, ma la possibilità stessa di creare ex novo un progetto vivente». Le intelligenze più lucide l'hanno riconosciuto da tempo: c'è qualcosa di molto più pericoloso del già pericoloso inquinamento ambientale, c'è qualcosa di molto più drammatico della già drammatica crisi economica, c'è qualcosa che può rivelarsi molto più distruttivo della già violentissime guerre che stravolgono il mondo, ed è proprio l'ormai possibile «produzione della vita per mezzo della tecnica». Si obietterà: ma tutte queste ricerche, tutte queste tecniche, possono aiutare a migliorare non solo la vita degli uomini, ma la vita in generale. Certo, ed è per questa ragione che l'Eldorado potrà essere magnifico, ma come non accorgersi ch'esso potrà anche rivelarsi come terrificante? Pertanto chi vorrà assumersi la responsabilità di non dare alcun ascolto all'insegnamento che proviene dalla storia umana? In effetti non è la prima volta che l'uomo sogna, per riprendere la felice espressione di Barcellona, di «sostituire la natura nei meccanismi del vivente», anche se forse è la prima volta che un simile sogno può essere tradotto in realtà; e ogni volta tale sostituzione ha generato mostri. Mi permetto a tale riguardo di consigliare un'attenta lettura o rilettura del Frankenstein di Mary Shelley (1818), un'opera che è come un controcanto, ed un terribile monito, al clamore che alcune importanti scoperte scientifiche dell'epoca avevano giustamente suscitato. Inoltre, se proprio si dovesse optare per una metafisica, come non riconoscere che l'ingegno dell'uomo è riuscito ad elaborare, nel corso della sua storia, qualcosa di molto più interessante, metafisiche molto più vitali di quella nata, per ritornare ancora una volta all'esperimento tra la morte e la vita narrato dalla Shelley, dal «matrimonio fra tecnica e scienza»? La scienza non si fermi e non sia fermata (d'altra parte chi potrebbe realisticamente farlo?), ma nel suo avanzare tumultuoso e fecondo essa sia così razionale da non dimenticare di dare ascolto al poeta, al filosofo, all'artista, all'uomo religioso. Da essi, infatti, le potrebbero venire indicazioni antiche e sorprendenti. A meno che non ci si voglia comportare come Frankenstein, che – è banale ricordarlo ma può essere utile farlo – non è il nome della «creatura» o del «mostro», ma del dottore che lo assembla. A questo scienziato senza ragione la «sua creatura» ad un certo punto con ragione chiede: «Come osi giocare così con la vita?». Per l'appunto.

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