L'orrore del neonaticidio di Renzo Puccetti, 17-03-2012, http://www.labussolaquotidiana.it
La notizia ha fatto il giro di
mezzo mondo indignando molte persone: due bioeticisti italiani hanno pubblicato
un articolo sul Journal of Medical Ethics in cui sostengono la legittimità
dell'uccisione del neonato sulla base del suo status morale analogo a quello
del feto. Lo hanno chiamato "aborto dopo la nascita" (after-birth
abortion) nonostante l'espressione sia una contraddizione in termini, un
ossimoro come riconosciuto dagli stessi autori; aborto significa infatti
etimologicamente "non nato".
L'espressione viene però da essi
preferita a quella di infanticidio per sottolineare l'analogia del neonato con
quella del feto ed a quella di eutanasia neonatale per evidenziare che le
motivazioni per eseguirla possono essere molto più ampie rispetto a quelle invocate
per l'eutanasia; possono essere cioè le stesse motivazioni che sono alla base
degli interventi di aborto. Quali considerazioni si possono fare rispetto ad un
articolo che ha suscitato un vespaio di polemiche? La prima, già indicata dal
professor Pessina, è che la tesi non è affatto nuova.
In un mio libro (L’uomo
indesiderato, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2008) riprendevo la dichiarazione del bioeticista
dell’Università di Manchester John Harris che sosteneva la legittimità del
neonaticidio: “La gente che cosa crede sia successo nell’uscita dal canale del
parto per giustificare l’uccisione del feto ad un’estremità del canale del
parto, ma non all’altra?”, diceva.
Osservavo che un argomento
auto-evidente come il mantenimento della stessa identità dentro e fuori il
corpo della madre, solitamente invocato per giudicare come un male morale
l'aborto, possa essere ribaltato per estendere il giudizio di legittimità
morale all'uccisione del neonato. D'altra parte l'articolo in questione non fa
che riprendere e si poggia interamente su un'antropologia funzionalista (si è
persona solo se si è capaci di esprimere specifiche funzioni, in genere
cognitive) di cui un epigono nostrano è stato quel dottor Vazzoler, neonatologo
appartenente all'associazione bioetica presieduta dal professor Mori, il quale
in un convegno organizzato anche dall'ordine dei medici di Firenze sostenne che
“i feti, i neonati fortemente prematuri, i ritardati mentali gravi e coloro che
sono in uno stato vegetativo permanente, cioè senza speranza, costituiscono
esempi di non persone umane. Tali entità fanno parte della specie umana, ma non
sono persone”.
Mi pare sia da annotare che la
stessa antropologia non fa distinzione tra pre-persone ed ex-persone, tutte
sono comunque non-persone e tra gli sviluppi logici della tesi in oggetto è
compreso il diritto ad uccidere i dementi e i malati psichiatrici gravi non per
pietà, ma per l'interesse di chi è persona, venendo così meno la limitazione
alla volontarietà dell'eutanasia. Sarebbe così del tutto legittimo potere
effettuare eutanasie non volontarie, cioè senza consenso, ed involontarie,
contro la volontà di chi viene ucciso. Già oggi in Belgio la metà delle
eutanasie vengono effettuate in assenza di consenso esplicito della persona.
Neppure la terminologia usata
dagli autori è così originale, è sempre sconveniente auto-citarsi, ma ricordo
che in diversi interventi io stesso ho descritto il neonaticidio come
"aborto ectobiotico". Una seconda linea di riflessione che mi pare
opportuna ha a che fare con la sorpresa manifestata da molti di fronte ad una
tale proposta. Perché stupirsi? La radice profonda di questa mostruosa teoria
consiste nella sopprimibilità dell'indesiderato, in un darwinismo
medico-laboratoristico che già oggi viene serialmente compiuto alla luce del
sole ed ha come protagonista l'essere umano inerme colto in vari momenti della
sua esistenza. Non è forse una legalizzata selezione qualitativa degli embrioni
da trasferire in utero ad essere praticata nelle procedure di fecondazione
artificiale di ogni tipo? Non è forse un'imperfezione cromosomica, avere ad
esempio tre cromosomi 21, che fa legalmente sopprimere la maggioranza dei
bambini con sindrome di Down? In certi contesti culturali non è forse solo un
differente, ma parimenti indesiderato assetto cromosomico che conduce
all'aborto selettivo delle bambine? Lo stesso aborto ectobiotico, lo stesso
aborto post-nascita, la stessa eutanasia neonatale o come altro diavolo li si
voglia chiamare non sono forse realizzate quotidianamente per omissione delle
cure rianimatorie previste in tante linee guida neonatologiche di cui Bellieni
ci ha dato conto?
Le linee guida svizzere dicono di
non rianimare i prematuri di 22 e 23 settimane, ma curandoli, facendo cioè il
dovere di ogni medico degno di questo nome, oggi si può salvare il 27,1% di
quelli nati a 22 settimane e il 41,8% dei nati a 23 settimane. La sopravvivenza
a 18-22 mesi è stata calcolata essere rispettivamente del 26,7% e 40,9%. Sarò
limitato, ma non riesco a cogliere alcuna differenza tra queste condotte e le
morti provocate per omissione di soccorso. Perché dunque sorprendersi
dell’articolo di Giubilino e Minerva edito da una rivista il cui direttore,
Savalescu, non solo difende il diritto di pubblicare l’articolo, ma persino nega
il diritto all’obiezione di coscienza per i medici?
È significativa la risposta a
Savalescu del dottor Vaughan Smith: “Dopo avere visitato Auschwitz mi sono
cimentato con la domanda di come mi sarei comportato come medico nella Germania
nazista o nella Russia stalinista […] Non essendo una persona coraggiosa, non
sono sicuro. La possibilità di comportarmi onestamente sarebbe stata più grande
se mi fossi sentito parte di una professione medica indipendente, fedele a
qualcosa di superiore e più duraturo rispetto al regime del giorno. Sarebbe
stata inferiore se le opinioni di Savalescu avessero prevalso (cosa che,
suppongo, sia avvenuta)”.
L’articolo del Journal of Medical
Ethics non è quindi niente più che un piccolo mattone apposto per realizzare il
tempio dell’inciviltà. Un appunto finale riguarda la tentazione di volere
distinguere tra uccisione del neonato e uccisione del non nato. Accettare
l'esistenza di una qualsivoglia differenza morale tra i due atti
significherebbe ipso facto accettare una visione gradualista della dignità
personale alla base delle inique leggi abortiste attualmente in vigore che per
appunto consentono l'aborto su richiesta, purché entro un determinato ambito di
tempo. Significherebbe implicitamente negare quel personalismo ontologicamente
fondato che è la pietra d'inciampo per la cultura della morte, significherebbe,
magari senza rendersene conto, favorire l'oscurità e la barbarie. Contro questa
macchina ignobile e menzognera il 13 Maggio a Roma, marceranno uomini e donne
di buona volontà e di ogni età,
marceranno per la difesa integrale della vita, marceranno per la
civiltà.
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