Famiglia, aborto, diritti umani: Strasburgo deraglia - Nessun effetto
per l’Italia, ma una crescente pressione politica e culturale su Paesi come il
nostro che ancora dissentono dall’europensiero d’ispirazione radicale: la
risoluzione approvata martedì dall’assemblea elettiva della Ue è un eloquente compendio delle
posizioni sui temi eticamente più sensibili. Dalle coppie gay al controllo
delle nascite: ecco i punti salienti e le ragioni di chi ha votato no - di
Lorenzo Schoepflin, Avvenire, 15 marzo 2012
ll Parlamento europeo è stato teatro,
martedì, di un duro attacco all’istituzione del matrimonio come unione naturale
tra un uomo e una donna e alla vita nascente. Con 361 voti a favore, 268 contrari
e 70 astenuti, è stata infatti approvata una risoluzione, presentata dalla
radicale olandese Sophie in’t Veld del gruppo dei liberaldemocratici (Alde),
che, fin dai "considerando" del preambolo, si manifesta chiaramente
come un colpo ben assestato ai principi non negoziabili. Alle lettere R e T del
testo si legge infatti rispettivamente che «la salute e i diritti sessuali e riproduttivi
delle donne sono diritti umani e devono essere garantiti a tutte le donne» e
che «le famiglie nell’Ue sono diverse» e comprendono anche «genitori dello
stesso sesso». Espressioni che, neppure troppo velatamente, intendono
promuovere aborto e unioni omosessuali.
Pur incentrato sul tema della «Parità
tra donne e uomini nell’Unione europea» – questo il titolo della risoluzione –
il testo è un «campionario particolarmente esteso del radicalismo assai diffuso
in sede europea», commenta Mario Mauro, presidente dei deputati del Popolo
della Libertà (Ppe) al Parlamento europeo. Per Mauro, a Strasburgo dal 1999,
non è niente di inatteso: «Mi stupisco che ci si stupisca – chiosa–. Da quando
siedo in questo Parlamento si susseguono tentativi del genere». Ogni occasione
è buona, ma lo strumento appare alquanto spuntato: «Il Parlamento europeo –
ricorda Rocco Buttiglione (Udc) – non ha titolarità per legiferare sul diritto
di famiglia, che è una delle varie materie di competenza dei singoli Stati dell’Unione.
Gli ammonimenti del Parlamento europeo in questa materia valgono quanto ciascuno
di noi ritiene che debbano valere. Nel caso degli italiani, sul diritto di
famiglia valgono molto poco».
Vale la pena allora concentrarsi sull’euro-strategia
culturale e politica, ormai collaudata: pressioni abortiste e pro-gay sotto le
mentite spoglie dei diritti umani. Indubbiamente, secondo Mauro, questa
risoluzione è «particolarmente violenta e ideologica», soprattutto in quel passaggio
del paragrafo 7 dove si rimproverano gli Stati membri che adottano «definizioni
restrittive di famiglia con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie
dello stesso sesso e ai loro figli». Un testo che il Ppe ha bocciato quasi in blocco:
«Su questi temi non sempre c’è unità di vedute, ma questa volta il Ppe si è
mostrato molto compatto, tanto poco condivisibile era la formulazione della
risoluzione».
Un altro argomento interessante,
fermo restando il fatto che «la risoluzione non ha alcuna implicazione legislativa
per gli Stati che non intendono legalizzare i matrimoni omosessuali», è quello
affrontato nel paragrafo 5, dove traspare l’intenzione di armonizzare le leggi europee
in materia. In tale articolo si invita infatti a «elaborare proposte per il riconoscimento
reciproco delle unioni civili e delle famiglie omosessuali a livello europeo
tra i Paesi in cui già vige una legislazione in materia», con quello che sembra
l’intento di creare un blocco di opinione capace di esercitare pressione su tutti
gli Stati che non riconoscono le unioni omosessuali. Sui paragrafi suddetti, il
Ppe aveva presentato due emendamenti: con il primo – bocciato con 236
favorevoli, 418 contrari e 28 astenuti – si chiedeva la cancellazione dell’intero
paragrafo 5; con il secondo, respinto con un margine minore (322 favorevoli,
342 contrari, 22 astenuti), veniva invece proposta una modifica del paragrafo 7
con l’eliminazione dei riferimenti alle «definizioni restrittive di famiglia» e
alla «tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli».
Ma, come detto, l’attacco frontale
che si delinea con la risoluzione riguarda anche temi quali aborto, contraccezione
e pianificazione familiare. Al paragrafo 47 si esprime preoccupazione «per i recenti
tagli alla pianificazione familiare e all’educazione sessuale così come per le restrizioni
all’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva in alcuni Stati
membri, con particolare riferimento alla tutela della gravidanza e della
maternità nonché all’aborto sicuro e legale», e si sottolinea che «ogni donna
deve avere il controllo sui propri diritti sessuali e riproduttivi anche beneficiando
dell’accesso a metodi contraccettivi di alta qualità e a prezzi accessibili».
Il paragrafo 56 è musica per le orecchie dei sostenitori di politiche
antinataliste: partendo dalla constatazione che «quest’anno la popolazione mondiale
ha raggiunto i 7 miliardi», chi ha votato a favore della risoluzione ha
espresso la convinzione che «la pianificazione familiare debba avere una posizione
prioritaria nell’agenda politica». Del gruppo Ppe, tra gli altri, ha M votato
contro la risoluzione anche Lara Comi (Pdl). Secondo la giovane
europarlamentare, la famiglia si fonda sul «legame naturale che è costituito
dall’unione di un uomo e una donna» e non si può pensare che qualsiasi orientamento
sessuale possa essere alla base di un’istituzione familiare. Di «forzatura»
parla anche Patrizia Toia, esponente del Pd e vicepresidente del Gruppo dell’Alleanza
progressista di Socialisti e Democratici (S&D). Sulla stessa lunghezza
d’onda anche Silvia Costa, collega di partito. Toia e Costa hanno votato a
favore degli emendamenti proposti dal Ppe e non hanno sostenuto la risoluzione
in sede di votazione finale, distinguendosi dalla maggioranza del gruppo
S&D.
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