OBIEZIONE DI COSCIENZA TRA ATTACCHI E BELLE NOTIZIE - Un diritto
riconosciuto subito dopo il Processo di Norimberga, viene messo in discussione di
Chiara Mantovani*
ZI12030409 - 04/03/2012
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ROMA, domenica, 4 marzo 2012
(ZENIT.org).- Affermava Benedetto XVI il 10 gennaio 2011, nel discorso al Corpo
diplomatico accreditato presso la Santa Sede: “Si tende a considerare la
religione, ogni religione, come un fattore senza importanza, estraneo alla
società moderna o addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di
impedirne ogni influenza nella vita sociale.
Si arriva così a pretendere che i
cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle
loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse,
come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto
all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del
diritto.
In tale contesto, non si può che
rallegrarsi dell’adozione da parte del Consiglio d’Europa, nello scorso mese di
ottobre [2010, ndr], di una Risoluzione che protegge il diritto del personale
medico all’obiezione di coscienza di fronte a certi atti che ledono gravemente
il diritto alla vita, come l’aborto”.
Il Santo Padre faceva
riferimento, in quella occasione, al tentativo della deputata britannica
socialista Christine McCafferty di eliminare l’obiezione di coscienza, fallito
grazie alla Risoluzione (la numero 1763) del Parlamento europeo il 7 ottobre
2010 (in cui era precisato “Nessun ospedale, o persona, o Istituzioni potranno
essere perseguiti o considerati responsabili di essersi rifiutati di praticare
o assiste ad un aborto”). Ma i paladini dell’aborto come diritto on demand non
demordono.
Ancora in una recente intervista
a Stefano Rodotà di Cinzia Sciuto, pubblicata sul supplemento "D" di
Repubblica il 3 dicembre 2011, l’attacco arriva forte e chiaro: “Oggi, a più di
trent’anni dall’approvazione della legge sull’interruzione di gravidanza, la
possibilità dell’obiezione di coscienza dei medici andrebbe semplicemente abolita”.
Il professore emerito di Diritto
civile all’Università La Sapienza di Roma ed ex presidente dell’Autorità
garante per la protezione dei dati personali (ma non delle persone) mostra una
fede incrollabile nella inoppugnabilità del diritto positivo, tale da non poter
sfidare alcuna coscienza, quasi che un atto sancito dalla legge per un tempo
prolungato diventasse irreformabile.
La domanda conseguente, che anche
l’intervistatrice pone, giunge probabilmente spontanea a molti: “Professore, ma
si può obbligare un medico ad agire contro la propria coscienza?”. La risposta
è emblematica:«Quando la legge [194/78] è stata approvata la clausola
dell’obiezione di coscienza era ragionevole e giustificata: i medici avevano
iniziato la loro carriera quando l’aborto era addirittura un reato ed era
comprensibile che alcuni di loro opponessero ragioni di coscienza. […]
Oggi però chi decide di fare il
ginecologo sa che l’interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla
legge, che rientra nei suoi obblighi professionali e non è più ragionevole
prevedere una clausola per sottrarvisi». Anche volendo tralasciare l’analisi
del significato di “ragionevole” per il professor Rodotà, la domanda successiva
sarebbe quella di chiedergli quali requisiti siano più importanti, secondo lui,
per fare il ginecologo: meglio la competente professionalità in un medico che
scientificamente sa che l’aborto è l’interruzione del processo vitale di un
individuo di natura umana, e che a questo in coscienza – secondo il giuramento
di Ippocrate – non voglia collaborare, oppure l’obbedienza ad un dettato
legislativo (la legge 194/78) che si chiama “Norme per la tutela sociale della
maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”?
E che ne facciamo delle parti di
quella legge che prevedono che i medici offrano alternative alle donne
(paragrafi b e c dell’articolo 2, per dire il meno)? Se la 194 va così
rigorosamente applicata, come giustificare le cifre allucinanti degli aborti in
Italia? In più, nell’articolo 9 della stessa 194/78 - in cui si prevede e si
disciplina l’obiezione di coscienza - non vi è cenno di una applicazione ”a
tempo” del principio, né si prevede che i medici si ”abituino” all’aborto, o
tantomeno che i ”delicati” di coscienza debbano astenersi dal fare i
ginecologi.
Il che costituirebbe una
scandalosa discriminazione, anzitutto di natura ideologica, applicata
nell’ambito deontologico ed etico. Ma secondo il professor Rodotà evidentemente
vale più la lettera che la coscienza, che è giudizio della ragione sulla bontà
(non solo sulla legalità) di un atto. Anche a Norimberga qualcuno ci provò a
dire che la legge era dalla sua parte.
Senza molto successo, grazie a
Dio. Vista la tenacia con cui il progetto di abolizione dell’obiezione di
coscienza viene perseguito, ogni argomentazione in sua difesa è da salutarsi
con gioia, come la difesa un diritto fondamentale, vero baluardo di
indipendenza delle professioni mediche e sanitarie e presidio di libertà, non
solo quella di coscienza.
E ogni contributo a togliere
l’aborto dall’ambito del supposto diritto soggettivo o sociale è utile a
sottolineare e rafforzare la consapevolezza che l’obiezione non è una esotica
scelta tutta personale e confessionale, bensì costituisce un richiamo utile a
tutti, per ricordare che ci sono valori che davvero non possono essere
contrattati.
La preziosità della vita umana è
uno di questi. [Anche la Sentenza della Corte Europea del 18 ottobre 2011
(C-34/10 ), quando in un passaggio decisivo dichiara: “Sin dalla fase della sua
fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione
umano dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di
sviluppo di un essere umano”, mentre evita la brevettabilità degli embrioni e
del loro materiale genetico, conferma implicitamente la liceità dell’obiezione
di coscienza nelle prassi abortive: se non è lecito l’uso, come non ammettere
il rifiuto della soppressione di un essere umano?].
Dopo la Risoluzione del
Parlamento europeo dell’ottobre 2010, un altri segnale positivo è dato dagli
Articoli di San José, datati nella significativa giornata del 25 marzo 2011.
Luca Volontè, che degli Articoli si è fatto promotore in Italia e in Europa,
spiega che “gli Articoli di san José demoliscono ogni tentativo delle lobby
filoabortiste di affermare un qualunque ‘diritto all’aborto’, ancor più un
‘diritto umano all’aborto’.
Se l’aborto non è un diritto,
come da quarant’anni a questa parte si sta cercando di persuadere l’opinione
pubblica, pure se diverse legislazioni hanno concesso che in alcuni casi sia
legalmente permesso, cade tutta la obbligatorietà del suo esercizio. Gli
obiettori hanno dunque il nobile e necessario compito di ricordare il valore di
ogni vita umana.
Per ogni approfondimento
http://www.vanthuanobservatory.org/
*Chiara Mantovani è
Vicepresidente nazionale per il Nord Italia dell'Associazione Medici Cattolici
Italiani (AMCI).
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