PARLARE DI "POST-ABORTO" SIGNIFICA SOSTENERE L'INFANTICIDIO -
Il Centro di Bioetica dell'Università Cattolica replica alla tesi di una
rivista scientifica
ZI12022911 - 29/02/2012
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http://www.zenit.org/article-29751?l=italian
ROMA, mercoledì, 29 febbraio 2012
(ZENIT.org) – A seguito della presa di posizione di due studiosi italiani, che
sostengono la legittimità morale e giuridica dell’infanticidio, è arrivata la
replica del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore.
L’articolo contestato, intitolato
“After-birth Abortion: Why Should the Baby Live?”, è stato pubblicato sul
Journal of Medical Ethics a firma di Alberto Giubilini e Francesca Minerva.
“Chi conosce il dibattito
bioetico - afferma una nota del Centro di Bioetica - sa che questa tesi non è
affatto originale: rappresenta una
riproposizione, forse neanche troppo efficace, delle argomentazioni del
bioeticista australiano Peter Singer, da sempre sostenitore della legittimità
dell’aborto volontario e dell’infanticidio”.
La tesi singeriana, ripresa dai
due autori italiani, di fatto, “legittima l’infanticidio – prosegue il
comunicato - perché i neonati, anche in assenza di una condizione patologica,
non avrebbero alcun esplicito interesse a vivere e in questo loro limbo
coscienziale non godrebbero nemmeno dello statuto di persona”.
Secondo quanto afferma l’istituto
dell’Università Cattolica, ogni essere umano manifesta un “esplicito interesse
alla vita”, già fin dal suo “primordiale sviluppo”. Quindi l’essere umano “si
inscrive in questa condizione esistenziale per cui ognuno si qualifica come
‘figlio’ e non soltanto come puro insieme di organi interpretato dalle leggi
della medicina e della biologia”.
Negare questa impostazione
significa, secondo gli studiosi del Centro di Bioetica, significa “violare
definitivamente la prospettiva etica, che non è mai puro bilanciamento di
interessi, di costi e benefici”.
La prospettiva espressa dal
Journal of Medic Ethics, oltre che “miope”, è anche “cinica”, poiché “legittima
l’individualismo del più forte (l’adulto sano) che non ha alcun “interesse”
allo sviluppo degli interessi di coloro che ha generato”, prosegue la nota del
Centro di Bioetica.
Si tratterebbe, dunque, di una
concezione “cosale” e “proprietaria” del generato a cui non si è più in grado
di offrire quell’ospitalità che “abbiamo imparato a non negare a nessuno
straniero”.
“Ad inquietare è, poi – prosegue
la nota - il fatto che proprio il concetto di persona, divenuto nella cultura
occidentale la via breve per riconoscere dignità e diritti a tutti gli uomini,
finisca per essere utilizzato per legittimare sul piano teorico la più evidente
violazione dei diritti dell’uomo”.
In conclusione, secondo il Centro
di Bioetica, la sfida lanciata dalla rivista scientifica anglosassone diventa
anche un fatto “politico”, poiché se non si è in grado “tutelare chi non è in
grado di auto tutelarsi”, ne risulta minacciata la stessa “idea di democrazia così
come l’abbiamo ricostruita dopo le violenze totalitarie”.
Anche in una “società liberale e
pluralistica”, dunque, rimane necessario sanzionare giuridicamente, e non solo
moralmente, determinate condotte che, di fatto, “minano le condizioni stesse
della convivenza civile”, conclude poi la nota.
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