Negozi aperti, famiglie chiuse di Tommaso Scandroglio, 05-01-2012, http://www.labussolaquotidiana.it
“Arbeit macht frei”. Il lavoro
rende liberi. Questa era la scritta di benvenuto assai menzognera posta
all’ingresso di molti campi di concentramento nazisti. A leggere la notizia del
provvedimento di Monti contenuto nella manovra “Salva Italia” che riguarda la
liberalizzazione degli orari dei negozi, ci è venuta alla mente per un gioco di
libere associazioni questa drammatica scritta (anzi è meglio definirlo
drammatico epitaffio). Per quale motivo?
Il provvedimento, appena entrato
in vigore, concede facoltà agli esercizi commerciali di decidere in piena
autonomia gli orari di apertura e chiusura. Salta quindi il vincolo della mezza
giornata di chiusura settimanale, e della chiusura alla domenica e nelle
festività comandate. Il popolo italico esulta: il 78% dei nostri connazionali è
favorevole (fonte Ipsos). Lo shopping diventa condizione esistenziale perenne.
Già in precedenza si potevano
chiedere deroghe, ma da ieri il percorso è stato reso ancor più agevole.
L’intento del governo è semplice: più si lavora, più si spende, meglio gira la
ruota dell’economia. Il problema sta nel fatto che sotto questa ruota
rimarranno schiacciate la persona e la famiglia.
Questo provvedimento è da
bocciare per alcune motivazioni sia di carattere morale, che di natura psicologica-esistenziale,
nonché sociale e - paradossalmente - anche economica.
“Arbeit macht frei”. Il lavoro rende liberi.
Anche se questa scritta non fosse stata posta all’ingresso dei campi di
concentramento nazisti con il chiaro intento di tranquillizzare e quindi
ingannare i deportati, il contenuto della stessa rimarrebbe menzognero. E’ la
verità, cioè Cristo, che ci rende liberi, non il lavoro come invece ha
suggerito il barbuto Marx o prima di lui il proto-liberale John Locke. Questo
non toglie che il lavoro può essere uno strumento per arrivare alla verità e
quindi alla libertà, cioè se lo intendiamo e lo viviamo come mezzo per
realizzare noi stessi e per santificarci. Ad esempio chi non lavora non ha i
soldi per condurre un’esistenza dignitosa. Ma il lavoro diventa una schiavitù
quando non è più inteso come mezzo ma come fine: lavorare per lavorare, oppure
lavorare unicamente per far cassa, senza scopi ulteriori e più alti.
Il provvedimento di Monti
costringerà i commercianti a lavorare sempre di più, anche di notte: il sole
sul regno del libero mercato non tramonterà mai. La facoltà di tenere aperto o
chiuso il negozio a proprio piacimento è una favola perché a dettare le regole
nel libero mercato è la concorrenza. Se la grande distribuzione avrà mezzi e
risorse per aperture non stop, i piccoli commercianti non potranno che cimentarsi
– forse inutilmente – in un’estenuante maratona per tentare di fronteggiare la
concorrenza dei mega-store. Dunque ecco che un provvedimento apparentemente
liberale si mostra essere strumento per schiavizzare con il lavoro i
commercianti.
L’inversione dei termini è
disumanizzante: si vive per lavorare e non più, come si dovrebbe, si lavora per
vivere. O, a specchio, come disse Gesù riferendosi al tempo del riposo: “Il
sabato è stato fatto per l'uomo, e non l'uomo per il sabato”. Il lavoro è in funzione
della propria crescita personale, altrimenti si finisce per diventare una
rotella di un meccanismo economico spersonalizzante. Insomma pensavamo che il
taylorismo fosse finito ma con Monti pare che ci sia un pericoloso revival di
questo fenomeno.
Il riposo è occasione per
recuperare i propri tempi esistenziali, la quiete è ristoro per la psiche e
l’anima. Non solo: il riposo è efficace prima di tutto per il lavoro stesso,
perché permette di rinfocolare quelle energie interiori che consentono di rimetterci
alla scrivania o al banco di lavoro con maggiore efficienza, maggior profitto
ed inventiva. Anche Dio si riposò il settimo giorno. Forse che vogliamo essere
migliori di lui?
Ma c’è un altro motivo per cui
l’idea montiana è da rigettare. La domenica, le feste sono momenti dedicati a
stare in famiglia. Nuovamente questa realtà sociale viene intesa dai politici
in modo astratto: la famiglia semplicemente non esiste. In questi ultimi anni
si stava assistendo ad una migrazione al contrario delle donne dal mondo del
lavoro al focolare domestico, soprattutto chiedendo il part-time. Segno questo,
tra i molti, che la famiglia è vocazione incardinata nell’intimo del cuore di
ogni uomo. Ecco che invece, proprio come nei campi di concentramento, il papà e
forse anche la mamma verranno deportati nei centri commerciali a lavorare,
volenti o nolenti, anche alla domenica. I negozi rimarranno aperti e le
famiglie chiuderanno non per ferie ma per lavoro.
Inoltre questo provvedimento fa
male per paradosso all’economia stessa. I sostenitori della proposta affermano
che aumenteranno i posti di lavoro dato che gli orari si prolungheranno. A
parte il fatto che anche se così fosse, ciò non giustificherebbe per i motivi
sopra esposti la liberalizzazione degli orari, però viene da chiedersi perché
l’Ascom, la Confesercenti e i sindacati sono sul piede di guerra. Se ci fossero
nuove assunzioni e più affari per tutti perché protestare? Il timore nasce da
queste considerazioni. Primo: molto probabilmente non si faranno nuove assunzioni,
ma si tenterà di allungare l’orario dei dipendenti già assunti oppure turnare
con maggior frequenza gli stessi. Insomma più lavoro per chi già lavora, meno
lavoro per gli altri.
Ma ammesso e non concesso che
invece ci saranno nuove assunzioni queste non compenseranno le perdite di posti
lavoro conseguenti alla chiusura dei negozi che non reggeranno la concorrenza.
Infatti le grandi reti di distribuzione potranno far fronte ad aperture
prolungate, ma i piccoli esercenti molto probabilmente dovranno abbassare la
serranda per sempre dato che non saranno in grado di farsi carico di nuove
assunzioni. Questo anche a danno di una certa qualità dei prodotti e dei
servizi tipici del negozio sotto casa dove, tra l’altro, il rapporto di fiducia
tra cliente e commerciante è sicuramente un plus valore, introvabile nei centri
commerciali.
Inoltre il panorama dei costumi
delle nostre città cambierà in peggio. Una città che non dorme mai è una città
schizofrenica e ansiogena, nervosa e snervante per i propri stessi cittadini,
una città zombie, afflitta da un’insanabile insonnia per superaffaticamento.
Parrà di vedere quella bufera infernale descritta da Dante nel V Canto che
travolgeva le anime dannate e che non si arrestava mai.
Infine il lavoro notturno esporrà
ad alcuni rischi i commercianti: con il favore delle tenebre aumenteranno di
certo le rapine. Basta rammentare cosa accade negli States dove gli orari dei
negozi hanno subito una deregulation ormai da tempo e i furti e le rapine
notturne sono frequentissime.
Insomma pare davvero che la
lezione che ci stava impartendo questa crisi non è stata accolta nel profondo:
è proprio la dimenticanza delle esigenze profonde dell’uomo che ha prodotto
questa situazione economica difficile. Per paradosso lavorare fino allo sfinimento
conserverà gli italiani in uno stato di crisi: morale, esistenziale e
spirituale.
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