Avvenire.it, 2 marzo 2012 - ABORTO POST-NASCITA - Neonati di scarto,
filosofi contro di Viviana Daloiso
Prendi la tesi estremista di un
filosofo (forse) sconosciuto all’uomo comune. Privala delle argomentazioni
(forse) non necessarie in tempi “poveri” di un dibattito pubblico approfondito.
Trova una rivista che (forse) non si accorga della mancanza di originalità del
testo e lo pubblichi come una novità. Ed ecco che i due ricercatori italiani
che hanno sostenuto la liceità morale dell’infanticidio sulla rivista
accademica "Journal of Medical Ethics" acquisiscono immeritata
notorietà.
E, ciò che più sorprende, grazie
a un meccanismo più consono al mondo dei media che a quello universitario: il
“polverone” della sparata ideologica che divide in fazioni, come nell’arena dei
talk show.
I due giovani (finora
sconosciuti) studiosi sono Alberto Giubilini e Francesca Minerva. Mescolando
ingredienti filosofici datati anni 70 (e acquistati nella bottega del filosofo
utilitarista Michael Tooley) hanno cercato di dare consistenza quasi
sillogistica a una teoria da far accapponare la pelle: quella per cui un
neonato («proprio come un feto») non è davvero una persona, «non essendo ancora
nelle condizioni di attribuire alcun valore alla propria esistenza». Di qui la
conclusione choc: uccidere un bebè, o meglio, «abortire dopo la nascita» non è
affatto «un atto immorale» e «dovrebbe essere possibile sempre», anche quando
quel bebè è sano, ma i genitori non possono permettersi di crescerlo. Insomma,
«non è sufficiente essere umani per ottenere il diritto inalienabile a vivere».
Ci sono altre “priorità”.
Contro le tesi sostenute
nell’articolo è intervenuto il neurologo Gian Luigi Gigli, firmando su
«Avvenire» del 28 febbraio un editoriale che abbiamo intitolato «Invasioni
barbariche», seguito ieri da un articolo della scienziata e bioeticista
Assuntina Morresi. Posizioni riprese (con qualche imprecisione su di noi...)
dal quotidiano "Post on line" e da "Pagina3" di Radiotre
Rai, a loro volta fortemente critici. La polemica ha travolto anche il sito
della rivista, che ha ricevuto migliaia di interventi contrariati e di
protesta, tanto da spingere il direttore Julian Savulescu a difendere con un
editoriale la decisione di pubblicare l’articolo. Qui proseguiamo il dibattito
con alcuni dei maggiori filosofi italiani.
Qualche tempo fa il filosofo e
direttore del Centro di bioetica dell’Università Cattolica, Adriano Pessina
(che in queste ore ha fatto sentire la sua voce sull’articolo choc pubblicato
sul Journal of Medical Ethics), aveva proposto una “moratoria” del concetto di
persona. Troppa confusione, in merito. Troppa metafisica, anche.
L’obiettivo – condivisibile – era
quello di poter tornare a parlare e confrontarsi sui diritti dell’individuo (e
di ogni individuo) evitando di “incappare” nelle trappole di certa filosofia
morale. Come, ad esempio, quella di matrice radical-utilitarista che ha fatto
capolino proprio dalle pagine del Journal of medical ethics qualche giorno fa.
Il punto di partenza (citato solo in nota) è il pensiero del filosofo Michael
Tooley, che per la prima volta nel 1972 sostenne come un organismo sia una persona
(e dunque abbia «un serio diritto alla vita») solo se possiede anche «la
capacità di porre scopi» e «il concetto del sé come soggetto continuo nel
tempo». Feti e neonati, s’intende, sono esclusi. Di qui la tesi (tutt’altro che
nuova, e per moltissimi aberrante) che aborto e infanticidio siano pratiche del
tutto accettabili.
«Niente di più assurdo»,
esordisce Salvatore Natoli, docente di Filosofia teoretica ed Etica sociale
all’Università Milano Bicocca: «Non solo ritengo farneticante l’idea di un
aborto post-nascita – spiega –, ma non condivido nemmeno alcune ragioni che
consentono l’aborto in gravidanza, come per esempio quelle “contraccettive”,
per cui cioè l’interruzione di gravidanza viene usata come strumento di
contraccezione». Il punto di partenza di Natoli è una concezione precisa
dell’essere umano come «individualità definita»: «Quando c’è un soggetto
costituito con la forma uomo – precisa – c’è anche un essere umano. E quella
forma c’è, come ci dice la scienza, a partire dalla strutturazione del sistema
nervoso centrale, che come sappiamo avviene nello stadio fetale». Per il resto,
l’articolo dei due ricercatori italiani è tutto «un formicolare di eugenetica»
secondo Natoli, il cui vizio di coscienzialismo porterebbe all’assurdo che
«quando stiamo dormendo, dal momento che "non abbiamo coscienza di noi
stessi nel tempo e non poniamo scopi", non siamo più uomini, e quindi
potremmo essere uccisi».
Assurdo su assurdo? «Il fatto che
i due ricercatori – sottolinea un infastidito Giulio Giorello, docente di
Filosofia della scienza all’Università statale di Milano – si guardino bene dal
precisare quando l’infante potrebbe diventare una persona a pieno titolo e
cessare d’essere oggetto di eventuale eliminazione. Avverrà a due mesi? A due
anni? Oppure a 30, a 60 magari? È evidente quali cupi scenari evochi una simile
visione del mondo». Il ragionamento di Giubilini e Minerva, secondo Giorello, è
poi una mera perversione persino delle logiche utilitariste, «secondo cui ogni
essere umano è una risorsa per il bene collettivo e mai un peso». Ma è
sull’aborto che Giorello pone l’accento, spiegando come il dibattito innescato
dai due ricercatori possa portare a confondere l’interruzione di gravidanza
(giuridicamente regolamentata in Italia) con l’infanticidio: «Se è purtroppo
vero che in alcune circostanze l’arrivo di un figlio possa costituire un evento
insostenibile per una madre o per una coppia – precisa Giorello –, vero è anche
che nel nostro Paese esiste una legge molto attenta a regolamentare le
circostanze di un interruzione di gravidanza. E che quest’ultima dovrebbe
essere sempre scongiurata precedentemente da un uso altrettanto attento delle
terapie anticoncezionali, senza bisogno di ricorrere alla fantascienza degna
dei peggiori incubi di Orwell o Huxley». Un appello alla responsabilità dunque
(concetto assolutamente assente nell’articolo dei due ricercatori italiani),
che Giorello accompagna a quello al mondo accademico, affinché «si riprenda un
confronto razionale sulla vita tra studiosi che della vita hanno concezioni
diverse ma che si guardano bene, come in questo caso, di dettare i loro dogmi
autoritari».
«Sulla tesi di Tooley – spiega
Roberto Mordacci, docente di Filosofia morale all’Università Vita e Salute-San
Raffaele – s’è discusso per quarant’anni in ambito accademico: le sue
argomentazioni sono state analizzate, confutate, in certi casi riprese e
ulteriormente estremizzate. Spiace notare come nel caso dell’articolo dei due
italiani questo dibattito sia stato del tutto ignorato». C’è un vizio di metodo
per Mordacci, prima che di contenuto, nell’articolo choc "Aborto
post-nascita: perché il neonato dovrebbe vivere?": «Quello di parlare per
dogmi – continua Mordacci – dando per scontate tutte le affermazioni che si
fanno. Niente di più sbagliato, in filosofia, dove si dovrebbe cercare sempre
di argomentare e di trovare, a mio avviso, posizioni mediane per poter lasciare
aperto e fecondo il dialogo e lo scambio di idee, su questi temi più che mai
necessario».
Entrando nel merito, le critiche
a Giubilini e Minerva si fanno più dense. Per Mordacci è paradossale, per
esempio, come nell’articolo venga completamente “azzerata” la figura della
madre-donna: «La drammaticità dell’aborto non esiste qui. La madre agisce come
un automa privo di coscienza morale, sia nell’aborto sia nell’eventuale
infanticidio che, anzi, viene considerato anche meglio della possibile
decisione di dare in adozione il figlio. Questo sì, un trauma, secondo gli
autori». Ma l’aborto, dramma morale, è: «E che sia consentito giuridicamente
non significa che moralmente sia innocuo», conclude Mordacci, secondo cui il
feto è persona in quanto «inizio di una vita». Visione laica o cattolica
dell’uomo, non importa. Di vita umana e di valore della vita umana, d’altronde,
bisogna tornare a discutere, eccome. Affermando come queste prerogative «siano
costitutive di ogni persona».
Non ha dubbi nemmeno Remo Bodei,
che insegna Filosofia alla Ucla di Los Angeles: «Se dovessimo prendere alla
lettera il principio affermato da questi studiosi, potremmo estenderlo anche a
molte altre categorie oltre a quella dei neonati – spiega –. Qui si parte dal
folle presupposto che la vita umana sia disponibile, ma in questo modo larga
parte della nostra civiltà potrebbe essere eliminata». Una provocazione, forse «un
mero esercizio del paradosso»: Bodei non trova ragioni per la sparata di
Giubilini e Minerva. Ma una certezza ce l’ha: «È sul concetto di cura che siamo
chiamati tutti a riflettere. E non si tratta – anche qui – di un concetto laico
o cristiano, ma universale». C’è terreno davvero, forse, per una nuova, inedita
stagione di dialogo.
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