Prigioni dell'anima di Antonio Giuliano, 16-03-2012, http://www.labussolaquotidiana.it
«La vita non può finire dietro le
sbarre. Io non mi arrendo». Don Francesco Guarguaglini è il giovane cappellano
di uno dei penitenziari più antichi e conosciuti d’Italia, quello di Porto
Azzurro sull’Isola d’Elba. Una fortezza costruita dagli spagnoli nel XVII
secolo che in anni recenti ha accolto i criminali più efferati del nostro
Paese. Oggi questa casa penale non è esente dai problemi che affliggono il
nostro sistema carcerario. Preoccupa in particolare la lista dei detenuti che
muoiono nelle carceri italiane. 186 vittime solo nel 2011, di cui 66 sono stati
suicidi. Pesa il tasso medio di sovraffollamento che a livello nazionale è pari
a circa il 150% (circa 68.000 detenuti in 45.000 posti). E in tutti gli
Istituti nei quali si è registrato più di un suicidio nell’anno 2011 il tasso
di sovraffollamento risulta essere superiore alla media nazionale (fonte
Antigone).
Anche Porto Azzurro scoppia?
Il carcere di Porto Azzurro in
questo momento conta circa 400 detenuti di cui circa la metà stranieri (40 sono
gli ergastolani). È una situazione che si è aggravata di recente: a gennaio
2011 i reclusi erano ancora 300, mentre il numero degli agenti e operatori è
rimasto lo stesso. La popolazione carceraria è composta per lo più di persone
povere (pare che il crimine non paghi) e quindi spesso la vita in carcere è
ridotta a sopravvivenza. Molti stranieri sono senza riferimenti sul territorio,
gli italiani provengono da famiglie che già vivono difficoltà. Ma i problemi
sono legati sia all’aumento dei detenuti sia ai tagli degli investimenti. Meno
possibilità di lavorare, meno educatori, difficoltà economiche per i detenuti e
i loro familiari, aumento dello stress per gli agenti di polizia penitenziaria,
e soprattutto difficoltà a pensare e progettare percorsi per il reinserimento
dei detenuti a una normale vita sociale.
Come si presenta oggi il
penitenziario?
Le celle sono di diverse
dimensioni comunque tra i 9 e 12 metri quadrati. Un centinaio, quelle più
piccole, sono singole e nelle altre sono in due per cella non di più. Ci sono
due aree adibite ai passeggi e un campo di calcio dove escono a turno per due
volte al giorno. Una sala hobby dove producono oggetti di artigianato
soprattutto in legno e una piccola palestra. La scuola offre corsi dalle
elementari alla maturità scientifica e un interessante gruppo teatrale. In
questo momento sono chiuse l’officina meccanica e la falegnameria, la
biblioteca e la sala musica a causa della mancanza di fondi per pagare i
lavoranti. A Porto Azzurro è nato anche il primo giornale redatto e stampato
dai detenuti, si chiamava La grande promessa. Purtroppo da diversi anni tutto
si è fermato. Coloro che lo avevano iniziato non sono più qui, e mi è parso di
capire che si chiuse sempre per mancanza di finanziamenti e adesso il clima di
chiusura che si respira non permette di investire in questo campo.
Quali sono le esigenze del
carcere visto dal di dentro?
I detenuti mi chiedono di essere
ascoltati. Si parla della vita quotidiana e della capacità di non perdere la
speranza. Il carcere è ovviamente un ambiente chiuso, ma è chiuso non solo da
fuori, lo è anche da dentro. È l’anima che è in prigione in questo sistema
carcerario. Il detenuto è spinto a essere diffidente verso tutti (detenuti,
poliziotti e istituzioni) e così ci si ritrova più soli che mai. Talvolta anche
la famiglia si allontana e quando è presente con l’affetto è una luce che dà
prospettive di vita nuova. I più poveri mi chiedono anche aiuti materiali. In
carcere sono assicurati i pasti principali, il letto e le medicine per
sopravvivere. Il resto te lo paghi (come per esempio zucchero, caffè, schiuma
da barba e in tempi di magra come adesso anche carta igienica, detersivi e
bagnoschiuma). Chi ha i soldi (pochi) vive, spesso grazie agli sforzi dei
familiari. Chi è solo e povero (e sono sempre di più) tira avanti aiutato dalle
associazioni di volontariato e se ci sono risorse dall’amministrazione
penitenziaria.
Ha senso parlare di indulto o
amnistia per ridurre l’affollamento delle carceri?
Credo che la soluzione migliore
si trovi a monte, cioè nel ridurre le cause che portano in carcere tante
persone. Per esempio tanti reati sono legati alla tossicodipendenza e al disagio
economico e sociale ed è evidente che il carcere, per come funziona adesso, non
sia una struttura adatta a far cambiare le persone che commettono reati per
questi motivi ma semplicemente rimanda “il problema” di qualche anno e tampona
mentre l’articolo 27 della costituzione dice che le pene devono tendere alla
rieducazione del condannato.
Il governo ha approvato di
recente un decreto, ribattezzato svuota carceri. C’è il rischio che aumentino i
problemi della sicurezza?
Non credo. Le leggi sono chiare e
danno garanzie perché si tratta solo di facilitare l’accesso alle forme di pena
alternative che già esistono e i criteri per accedervi restano gli stessi.
Non pensa che la lentezza della
giustizia sia il vero macigno?
Si, credo sia un limite per
tutti, sia per i detenuti sia per chi lavora nel carcere. Purtroppo nel nostro
sistema burocratico tante pratiche si rallentano perché chi non opera con
spirito di umanità può esercitare un grande potere e rallentare l’operato di
chi ha buona volontà. A Porto Azzurro c’è penuria di educatori, psicologi e
assistenti sociali? Sicuramente qui non manca il lavoro per loro. Ma il bisogno
dei detenuti è ben al di là delle risorse che sono assegnate in questo campo
perché tutti questi operatori possano svolgere il lavoro in maniera adeguata ed
efficace. Ciò spesso è frustrante sia per gli operatori sia per i detenuti. La
buona volontà, il rimetterci spesso anche di persona fa andare avanti le cose.
Il sistema è bloccato dalla preoccupazione di rendere tutto efficiente
economicamente spesso a discapito delle persone.
In che cosa consiste la sua
assistenza?
Per quanto riguarda il servizio
più strettamente “religioso”, celebriamo la messa la domenica e i giorni di
festa, al mattino per il tempo di un’ora. Un piccolo gruppo di detenuti più
motivati animano la liturgia e hanno formato un piccolo coro. Sono stabilmente
cappellano a Porto Azzurro solo da un anno e in questo tempo l’attività
prevalente è il colloquio con i detenuti. Per molti è un occasione per
“sfogare” tutto il mondo interiore che ogni uomo si porta dentro. Non avendo io
nessun “potere” nei loro confronti forse si sentono più liberi e a loro agio
nell’aprirsi. Talvolta si parte da bisogni concreti e materiali che poi diventano
occasione di approfondire la conoscenza. Talvolta sono le situazioni più
personali o familiari da rivedere o recuperare. Talvolta è la vita spirituale
che condividiamo e in questo anno tanto ho imparato da diversi di loro. La mia
presenza come quella dei volontari è un ponte o meglio una finestra proiettata
sulla realtà esterna, un’occasione per poter pensare ancora alla vita in
termini di speranza e di recupero. Non tutto è luce e ci sono anche tante
ombre, ma se non si crede nella capacità dell’uomo di redimersi e non si offre
una possibilità, certamente le ombre restano.
Perché nonostante tutto rimane
ottimista?
Segni positivi ce ne sono
tantissimi. Li vedo quotidianamente. Un poliziotto che salva la vita a un
detenuto rischiando la sua, un gesto di umanità che è stato riconosciuto e
ringraziato da tutti sia poliziotti che detenuti. Oppure l’anno scorso, tra
mille difficoltà, un detenuto si è laureato grazie alla collaborazione di
associazioni e educatori. È la vita che non si arrende. Sono fiori tra i sassi.
Ma per noi è così, è il Regno simile al granello di senape. Occorre ripartire
dalla fiducia che in ogni uomo resta sempre l’immagine del suo creatore, anche
quando lui stesso non la riconosce, la nega o la offende in sé e negli altri.
Non arrendersi, incoraggiare e creare tutte le occasioni possibili che nutrono
la vita vera di ogni essere umano: la sua capacità di amare.
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