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Il dibatttimento di una causa che
implica valori tradizionalmente
contrastanti può mettere in
imbarazzo i giudici, costringendoli a scegliere fra le leggi vigenti nella loro
nazione e gli usi e i costumi portati con sè da immigrai e profughi. E`stato
infatti un vero scontro fra due mentalità totalmente opposte, fra due culture e
due religioni diverse, quello che si è acceso ieri, martedì, nell’aula del
tribunale di Göteborg, in Svezia. La materia era scottante: due genitori serbi
islamici residenti a Göteborg, avevano voluto procurare al figlio
venticinquenne, ritardato mentale, una “compagna”. Per questa ragione si erano
recati l’anno scorso in Serbia ed avevano acquistato da un conoscente la di lui
figlia quattordicenne contro il pagamento di 1.000 euro in contanti ed il
versamento successivo di 100 euro al mese.
La giovane ragazza era stata
costretta a seguire i suoi “compratori” in Svezia contro la propria volontà e
per un anno ha poi dovuto soddisfare, sotto la continua minaccia di percosse e
di privazioni, i bisogni sessuali del “marito”.
Ma ai primi di novembre dell’anno scorso, è riuscita a mettersi in
contatto con un’assistente sociale e il 2 novembre la polizia ha fatto
irruzione nell’appartamernto in cui la ragazza veniva tenuta prigioniera,
arrestando i “suoceri” e il loro figlio.
Il processo a carico degli
imputati si basa sul racconto raccapricciante della giovane che ha definito la
sua permanenza in Svezia un “inferno” segnato da continui maltrattamenti,
percosse e perfino minacce di morte (l’avrebbero fatta volare giú dal balcone)
se non aderiva ai propri quotidiani “obblighi sessuali” verso il marito.
Ed è qui che le versioni
contrastano in modo netto. Non è vero, dice l’avvocato difensore Tommy Nilsson,
che la ragazza venisse tenuta segregata. Andava addirittura a prendere i
bambini piú piccoli all’asilo e accompagnava spesso la suocera al centro
commerciale per scegliersi abiti e scarpe di suo gradimento. Non solo, ma,
secondo la consuetudine musulmana, ella è statata dichiarata “sposa” con un
rito privato e, stando alla legge serba, poteva quindi praticare attività
sessuale dato che la sua età rientrava nell arco previsto (dai 13 ai 16 anni)
per le donne sposate.
“Ma in Svezia costituisce reato
avere rapporti sessuali con adolescenti di età inferiore ai 15 anni!” tuona il
pubblico ministero Thomas Ahlstrand. “E il fatto che la ragazza abbia
denunciato la propria situazione dimostra che ella non era affatto consenziente
al matrimonio impostole dal padre.”
La corte dovrà quindi giudicare
tenendo conto di fattori diametralmente opposti. La sentenza verrà emessa fra
due settimane. Nel frattempo i colpevoli rimangono chiusi in carcere. Secondo
la legge svedese, la loro identità non può essere resa pubblica se la pena sarà
inferiore ai due anni di reclusione.
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