«LA BELLA ADDORMENTATA» - Bellocchio al Lido: Eluana c’è, ma non c’è - 6
settembre 2012, http://www.avvenire.it/
Il dibattito è antico di secoli:
l’opera d’arte deve solo essere bella o anche veritiera? È lecito inventare, e
fino a che punto? La questione diventa fondamentale se il film si chiama Bella
addormentata e, a oltre tre anni dalla morte di Eluana Englaro, dipana varie
vicende (di fantasia) tutte nei sei giorni che precedono la sua eutanasia alla
casa di cura La Quiete di Udine.
E il film di Bellocchio, per
certi versi bello anche se lento, a tratti ricco di pathos e certamente ben
recitato, non è mai veritiero, anzi, crea ad arte una grande confusione. Eluana
non c’è – ci aveva predetto il regista – e infatti non c’è proprio, non nel
senso che resta sullo sfondo, ma che ogni riferimento alla sua vicenda (quelli
espliciti come le allusioni) induce il pubblico a credere in ciò che non è
stato. Un senso lo avrebbe avuto, questo film tardivo e giunto dopo altre opere
teatrali sul tema Eluana, se avesse voluto una volta per tutte far chiarezza e
dire ciò che (quasi) nessuno ha mai raccontato, ma l’occasione è andata perduta
e Bellocchio ricade nei soliti cliché.
Qualche esempio. Tra le storie
ambientate nei giorni dell’agonia di Eluana c’è quella di un’altra giovane in
stato vegetativo, figlia di un’attrice famosa che ne attende fanaticamente il
risveglio. Non c’è nulla di ciò che realmente accade nelle migliaia di case in
cui davvero si vive con un figlio in tali condizioni, nessuna traccia della
fatica quotidiana e del coraggio, della speranza e della fede, nemmeno della
povertà e delle battaglie per la vita, Bellocchio non deve aver mai superato
una di quelle soglie: la ragazza, irrealisticamente bella e inanimata come una
bambola di porcellana, vegeta ingioiellata in una casa bomboniera, tenuta in
vita da una madre crudele ed egoista incapace di «lasciarla libera», occupata a
strillare isterici rosari correndo avanti e indietro per i corridoi con tre
suore ridotte a macchietta. Naturalmente il respiratore ansima e cadenza i
silenzi, la giovane è attaccata "alla spina", la sua vita cioè non è
autonoma. A differenza di quella di Eluana.
C’è poi il senatore del Pdl,
figura altamente morale, dilaniato tra il "dovere" di votare in Aula
secondo la volontà dell’allora premier Berlusconi o seguire la propria
coscienza. Un toccante flash back rivela che in passato lui stesso aiutò sua
moglie a morire. Una moglie già malata terminale, attaccata alle macchine,
lucida, che chiedeva la sospensione di terapie ormai inutili. Nulla a che
vedere con la disabile Eluana, eppure è proprio il senatore a definire analoghe
la sua storia e quella di Beppino Englaro, «la cui grandezza è stata in questa
Italia cinica e depressa di aver voluto agire nel rispetto della legge,
nonostante le tante amorevoli sollecitazioni a risolvere la cosa in famiglia».
Un’occasione persa, dicevamo:
dove, se non in un film verità, si possono raccontare luci e ombre insieme, con
onestà imparziale, ponendo il problema - reale - del fine vita ma dicendo che
un disabile non è un malato terminale, che non ha spine da staccare e quindi se
non lo uccidi non muore? Che sulla carta Eluana è entrata a La Quiete di Udine
«per un recupero funzionale» (sarebbe omicidio ricoverare una persona al fine
di farla morire) «e la promozione sociale dell’assistita»?
Ancora: c’è poi la storia di
Maria, figlia del senatore e attivista "pro life". In contrasto col
genitore, parte per Udine e va a pregare sotto le finestre dietro le quali
Eluana sta morendo (a proposito, nella versione di Bellocchio quando ciò accade
le campane di Udine si sciolgono a festa...), ma lì tra un Padre Nostro e
un’Ave Maria si innamora di Roberto, attivista laico sul fronte opposto,
abbandona La Quiete, le amiche e le preghiere e corre in albergo con lui. Il
primo piano insiste sul crocifisso che porta al collo, ma che si butta dietro
le spalle mentre si spoglia.
Chi poi a Udine in quei giorni
del 2009 c’era davvero ricorda bene la sobrietà dei credenti, che nel film
appaiono invasati. Forse sono loro a fare irruzione in una stanza d’ospedale
surreale dove decine di degenti giacciono ammassati, mandando all’aria
lenzuola, frugando nei letti e urlando «non c’è»: cercano Eluana? Feroci e
irreali anche molti medici, come quello che organizza scommesse su quanto
durerà la sua agonia o il collega che parlando di una paziente «tossica» ne
auspica con disprezzo la veloce dipartita.
Ed è proprio la drogata ad aprire
e a chiudere con circolarità suggestiva, tagliente e ostile il film cui dà il
titolo, perché la "bella addormentata" che si sveglierà è lei.
All’inizio la incontriamo in
chiesa mentre ruba gli spiccioli dalle offerte e i fedeli in preghiera la
scacciano senza pietà. Alla fine è in ospedale, dove rinuncia al suicidio
grazie a un medico capace di amarla. Cattivi i credenti, buono il dottore. Lo
stesso che poco prima l’aveva "salvata" anche da un incolpevole prete
passato a benedirla e offrirle la sua vicinanza.
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