J’ACCUSE/
Vivere fino a 150 anni? tutti i buoni motivi per dire no di Carlo
Bellieni, il sussidiario.net, lunedì 5 settembre 2011
Di
recente sul Corriere della Sera Edoardo Boncinelli ha parlato della
possibilità (tutta da provare) di prolungare la vita fino a
centocinquant'anni tramite l’ingegneria genetica. Storia già
sentita, ora riportata in auge dal libro di Sonia Arrison intitolato
Cento e più anni. Niente di male, si dirà. Anzi, sento già i
commenti: “Bene; basta che non si arrivi a 150 anni come dei
catorci…”. Sforzi per prolungare la vita, che forse arriveranno a
buon fine o forse no, perché tira e tira, passano gli anni e ossa,
polmoni, occhi e nervi diventano di cartapesta e uno tira a campare
fino ai 150 a forza di medicine, e questo non ci sembra un gran
traguardo. Ma sforzi in apparenza positivi, che magari - in barba al
nostro scetticismo ben fondato - oltre a far campare fino a
centocinquant'anni, magicamente portano a curare anche ossa, occhi e
cervello. Perché dunque non ci piace?
Perché,
caro Boncinelli, è facile che quando il fortunato vincitore di un
DNA modificato avrà passato la soglia dei cento, tutti o quasi i
suoi amici siano morti, e statisticamente è facile che lo siano
anche i suoi figli! E’ un vermetto a fare sognare gli scienziati
sull’elisir di lunga vita: con qualche modifica genetica la sua
vita può essere allungata cinque volte di più del normale. Potremo
modificare anche i geni dell’uomo e ottenere il gran risultato di…
saltare il passaggio delle eredità invece che da padre a figlio, da
bisnonno a bisnipote? Abbarbicati, paurosamente abbarbicati alle
cose: non si vuol morire e non si vuol lasciare il testimone.
E
in questo Giovanni Verga era stato preveggente. Nella novella La
roba, il ricco e cinico contadino Mazzarò, pur di non lasciar niente
dietro di sé dopo la morte, dà fuoco a tutto, gridando impazzito:
“Roba mia, vientene con me!”. Oggi non si pretende di dar fuoco a
tutto; si pretende di non morire. Ma è lo stesso: un ridicolo
attaccamento alla proprietà. E’ una medicina che non ci piace,
anche perché, a fronte dello scarso giovamento del singolo, sono
davvero pochi questi “singoli” che se ne potranno giovare;
probabilmente i ricchi. E laboratori e ospedali si dedicheranno a
questa ricerca, invece che a quella della cura della malaria che
“tanto” è roba “da terzo mondo”, e porta poca grana.
Boncinelli
oltretutto ben sa che mettere le mani nel DNA è un’operazione che
magari accomoda un ingranaggio, ma non sappiamo quanti altri ne
allenta: il gioco che ancora non tutti hanno compreso si chiama
“epigenetica”, ed è un gioco meraviglioso, ma anche fragile e
terribile, perché racconta che basta poco per alterare il modo in
cui il DNA viene letto e quindi le proteine che fa produrre.
Ecco
perché questa medicina non ci piace: perché è il modo sbagliato di
affrontare una paura. Non a caso viviamo nell’epoca del ridicolo
“diritto al suicidio”, che è ridicolo perché la viltà o la
disperazione non possono essere diritti, ma tristi evenienze da
salvare, non foraggiare. Ma suicidio e pretesa d’immortalità sono
le due facce della stessa ansia patologica di controllo. E non sono
buona medicina.
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