L'aborto fai da te costa 51 euro di multa di Anna Maria Greco, articolo
di sabato 03 dicembre 2011, http://www.ilgiornale.it/
Una straniera interrompe la
gravidanza con un farmaco per l'ulcera. La Cassazione: è reato, ma c'è solo una
penale
Roma L’aborto «fai da te», anche
con pillole che interrompono la gravidanza, è illegale. Ma il reato, afferma la
Cassazione, è punito con la multa e non con la reclusione. Un’ammenda tutto
sommato inferiore a quella di un’infrazione stradale: 51,65 euro.
Il caso arrivato davanti alla
Suprema Corte riguarda una immigrata di 31 anni residente a Milano, che nel
maggio del 2007 ha abortito all’ottava settimana assumendo un farmaco, il
Cytotex, prescritto per la cura dell’ulcera ma che ha come effetto secondario
l’interruzione di gravidanza. A quel tempo in Italia non era stato ancora
approvato il protocollo per la pillola abortiva Ru486, ma evidentemente i
surrogati in farmacia non mancavano.
Solo che quando la donna
straniera è stata visitata all’ospedale di Legnano, in seguito ad un’emorragia,
ha dovuto spiegare di aver preso quella medicina rischiosa nelle sue condizioni
ed è stata denunciata all’autorità giudiziaria.
In primo grado è stata condannata
a 40 giorni di carcere, pena sospesa dalla condizionale e la Corte di Appello
di Milano ha confermato la sentenza. Ora, però, la Cassazione corregge il tiro,
rimproverando ai giudici di primo e secondo grado un’eccessiva severità. La
Procura aveva chiesto l’assoluzione della donna «perché il fatto non costituisce
reato», ma la Quinta sezione penale del «Palazzaccio» annulla la sentenza
impugnata solo riguardo il trattamento sanzionatorio, rinviando il caso alla
Corte d’appello. E ordina ai giudici di secondo grado di applicare tutti i
«benefici di legge», cioè il trattamento più clemente possibile.
La sentenza 44107 della
Cassazione afferma dunque che il reato c’è, perché l’aborto deve sempre
avvenire in ospedale sotto controllo medico, ma è punito con la multa e non con
la reclusione.
L’interruzione di gravidanza,
infatti, secondo la legge 194 del 1978, è autorizzata solo «previo intervento
della struttura socio sanitaria nel tracciare il percorso dapprima psicologico
e poi medico che la donna che intenda abortire è tenuta a stabilire».
È questo uno dei punti sui quali
più hanno insistito gli esponenti politici cattolici sia nel governo che nel
parlamento, quando è stata autorizzata nel nostro Paese la pillola abortiva e
si è anche aperto il dibattito sull’obiezione di coscienza non solo di medici
ma anche di farmacisti.
Nel caso specifico della signora
straniera che ha fatto ricorso, la Cassazione stabilisce che non è una
giustificazione valida il fatto che l’interessata non sapesse (come ha
affermato) di commettere reato, assumendo la pillola con modalità «fai da te»,
in un’epoca in cui non c’era alcun protocollo per l’assunzione di pillole
abortive. «L’ignoranza delle modalità previste dalle legge 194 - si legge nella
sentenza-, per la realizzazione legittima di una condotta volontariamente
abortiva non può che costituire ignoranza della legge penale in linea di
principio incapace di escludere la responsabilità».
La signora è quindi colpevole per
aver assunto una medicina capace di farla abortire senza rispettare le
procedure previste dalla legge, cioè il contatto con l’ospedale per tracciare
un percorso prima psicologico e poi medico.
© IL GIORNALE ON LINE S.R.L.
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