Avvenire.it, 6 marzo 2012 - Il cammino a ritroso di tesi inumane - L'infanticidio
nel deserto del nichilismo
La tesi recentemente sostenuta
sul Journal of Medical Ethics, per la quale il neonato può essere soppresso
come è soppresso il feto mediante l’aborto, è stata fatta conoscere su Avvenire
prima con l’analisi di Gian Luigi Gigli che ha indicato alcune radici teoriche
del relativismo assoluto, di cui la legittimazione dell’infanticidio è figlia;
poi con la raccolta di opinioni e reazioni di scienziati e filosofi che ne
hanno denunciato la gravità, l’inumanità, la via di non ritorno che segnerebbe.
Credo però si debba riflettere ancora sul terreno di coltura che ha favorito
l’affermazione di tesi che prima neanche affioravano nel pensiero umano (se non
in segmenti di estremismo votati all’irrilevanza), e sulle loro conseguenze. Il
terreno di coltura è quello proprio del nichilismo, nel quale l’uomo si trova
per caso a vivere e vive seguendo il caso, perdendo coscienza della propria
umanità. In questo deserto non esiste verità alcuna, che ci parli e ci
interroghi, da ricercarsi con fatica e gioia, diventi criterio di comportamento
che avvicina gli uomini, li rende solidali, li fa crescere insieme. Esistono
solo opinioni, tante quante sono le persone, tutte burocraticamente eguali, e
ogni gerarchia di valore e giudizio è azzerata. L’uomo è abbandonato a se
stesso, la sua possibilità di dominio è dilatata fino a comprendervi ogni cosa,
a cancellare il concetto di bene e di male, scendendo nel declivio che porta al
male assoluto, da consumarsi anche nel privato. Il male è spogliato della sua
tragicità, esposto come merce da prendere o lasciare, teoria da accettare o
rifiutare, nel silenzio della coscienza.
Come nell’antico adagio, e
corollario, del diritto di proprietà: ius utendi et abutendi. Con la specifica
che oggetto d’uso e d’abuso è oggi una persona.
Guardiamo bene ciò che si
colpisce a morte. Quell’amore che si presta al bambino appena nato, che è alla
base dell’etica naturale e cristiana, della poesia e dell’arte più elevate
cresciute nei secoli, si trasforma nel suo contrario: nell’atto terribile di
genitori e adulti che possono rifiutarlo e spazzarlo via dal novero dei
viventi. Queste parole hanno un suono sinistro, ma sono state pronunciate,
senza provocare grandissimo scandalo, o vera ribellione come contro un’offesa
all’umanità. Il velo teorico che appanna questi concetti fa crescere la
vertigine in chi li legge nella loro realtà corporea, e fa riflettere. Si pensa
alle parole di Fëdor Dostoevskij sul male che si reca ai più piccoli, come alla
colpa più grave che esista al mondo, all’arte che canta la natività in ogni
forma e sfumatura, o ricorda le stragi di innocenti come infamie terminali di
una società corrotta, alla gioia dei genitori di tutto il mondo quando nasce un
figlio.
Si pensa al patrimonio di bellezza e amore
accumulato nella cura dell’infanzia, e ci si accorge che può perdersi per
ignominia o per ignavia. Inizia un cammino a ritroso nella storia, e si dà
corpo a ipotesi che sembrano appartenere alla fantasia corrotta del marchese De
Sade, o di suoi epigoni. Giovanni Paolo II ha denunciato per tempo la «guerra
dei potenti contro i deboli» inaugurata dal relativismo proprio nell’epoca dei
diritti umani, e ha parlato di una vera «congiura contro la vita» che si va
perpetrando, nel silenzio di molti. Oggi ne conosciamo un altro tassello.
Benedetto XVI richiama di continuo la necessità di tornare alla Legge di Dio
che gli uomini conoscono nel proprio intimo ma che viene nascosta come fosse il
prodotto opinabile di un pezzetto di storia, o del pensiero umano fluttuante.
Di fronte al frutto così amaro dell’infanticidio che si prospetta (ma qualcosa
già si è fatto in qualche Paese) ci si deve chiedere quale possa essere lo
sbocco di una china fatale che stiamo scendendo gradino dopo gradino, per
tornare ai giorni del primo apparire dell’umanità sulla terra.
Se l’uomo è padrone di sé e degli
altri, fino a poter sopprimere il figlio già nato, è inutile che si interroghi
sul senso della vita, sulle sue finalità ultime, perché ha già risposto, ha
cancellato la propria specificità, la ricerca del bene, la solidarietà con i
suoi simili, si è posto come arbitro assoluto della vita. È l’ennesima riprova
del fatto che il relativismo crea un deserto attorno a noi, costringe l’umanità
a ricominciare daccapo, perché non v’è più spazio per i diritti umani, per la
cura dei più deboli, per ogni umanesimo che voglia portare l’uomo oltre la
materialità. Si è come ricaduti in quel peccato originale che aveva reso l’uomo
superbo fino a sostituirsi a chi l’aveva creato. Ricominciare dalla legge
eterna iscritta nella coscienza vuol dire spingere di nuovo l’uomo in avanti,
elevarlo come creatura chiamata al bene, rifiutare ogni dominio sugli altri.
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