Il "patrono" della libertà religiosa di Marco Respinti, 02-03-2012,
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Un anno fa veniva assassinato
Shabhaz Bhatti (1968-2011), il ministro per le Minoranze religiose del
Pakistan, cristiano, cattolico. Venne abbattuto perché attraverso un incarico
di governo interpretato secondo una precisa idea della politica aveva osato affermare
pubblicamente che ciò che anima l’uomo, sotto ogni sole e in ogni tempo, è
quell’irriducibile libertà di rapportarsi al Signore del tempo e delle cose che
ne fa un essere naturalmente e strutturalmente religioso. Molto più, cioè, di
una banale "libertà di coscienza": si tratta infatti di quella
libertà suprema e fondamentale che consiste nel corrispondere all’elezione con
cui Dio onora ciascuna persona, dapprima chiamandola all’essere, poi
accompagnandola provvidentemente per i giorni che gli concede, infine
convocandola per il giudizio finale particolare in vista di quello definitivo
universale.
Bhatti ha offerto la propria vita
in olocausto affinché sia continuamente possibile qui e ora l’epifania di
questa totale signoria di Dio sulla storia delle sue creature. Bhatti ha
militato e lottato per garantire a ogni persona lo spazio necessario ad
affrontare adeguatamente la questione fondamentale dell’esistenza: il rapporto
con Dio che dà senso alle cose. Solo l’otium che libera da quelle che san Bernardo
di Chiaravalle (1090-1153) apostrofava come le «maledette occupazioni»
quotidiane può infatti garantire l’onestà necessaria ad affrontare bene -
direbbe il filosofo Josef Pieper (1904-1997) - la "questione Dio", e
quindi a decidersi per il "Dio giusto", quello vero, l’unico. La
libertà religiosa per tutti, in particolare per le conculcate, vessate e
perseguitate minoranze religiose che si trovano a vivere come isole in un
oceano ostile, è insomma il prerequisito fondamentale per la missione, per
l’evangelizzazione.
Bhatti lo ha capito nel profondo,
con il cuore oltre che con la mente, e si è dato tutto per i diritti basilari -
quelli religiosi - delle minoranze del suo Pakistan non solo perché così ha
sperato di lucrare vantaggi per la minoranza a cui egli stesso apparteneva, ma
perché era convinto che la libertà di adorare Dio secondo coscienza fosse -
come la tradizione e i dottori del pensiero cristiano hanno sempre affermato,
sostenuto e difeso - un bene inalienabile in sé. L’unico che conduce al Dio
vero, Gesù Cristo incarnato, morto e risorto.
Bhatti ha dato la vita per
cercare di garantire a tutti l’occasione della propria vita: la conversione a
Cristo che senza il preambulum fidei della libertà non è concretamente
possibile. Chi ha fermato questa sua piccola grande crociata probabilmente
aveva capito, se non altro intuito, e per questo ha odiato. Ce lo dice
scopertamente la Chiesa Cattolica del Pakistan, che infatti da mesi ha
presentato al Santo Padre la richiesta di proclamare martire Shabhaz, onorandolo
come «patrono della libertà religiosa». Un titolo sublime, che non è certo una
versione riveduta e corretta della vera fede ai tempi dell’ecumenismo, ma
l’intuizione più profondamente adatta alle cogenze dell’ora presente, come
sempre ha fatto nella storia la Chiesa madre e maestra, esperta di umanità
oltre che - il va sans dire - di santità.
Accade però sempre nella storia
del popolo cristiano che la Chiesa riconosca e benedica esperienze in atto,
gesti vissuti e pratiche condivise, agendo all’esatto contrario
dell’illuminismo che prima sogna l’inesistente e poi cerca di imporlo alla
realtà. Affinché Shabhaz Bhatti venga riconosciuto dalla Cattedra di Pietro
«martire e patrono della libertà religiosa» bisogna che il popolo cristiano
cominci da sé a farlo, a venerarlo, a pregarlo. La Chiesa Cattolica che è in
Pakistan ha già cominciato, a noi non resta che seguirla. Perché la cosa più
stupefacente dell’intero martirio di Bhatti è che noi che ancora non godiamo
della visione beatifica del Signore di tutto abbiamo però da un anno esatto a
questa parte un protettore celeste in più, un patrono che ci guida, ci conduce
e ci ispira nella nostra battaglia quotidiana, sia essa culturale,
giornalistica, o altro, per l’affermazione della libertà religiosa che è
conditio sine qua non dell’evangelizzazione, della conversione e dell’adveniat
regnum tuum.
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