Il dialogo fitto tra un neonato ed una malata terminale - Pubblicato da
Giorgio Gibertini 03/01/12 bioetica, Editoriale, 03/01/12, http://frewslvb.blogspot.com
La nonna non sta bene. Supera
abbondantemente gli 80 anni ma gli ultimi cinque li sta passando in un letto di
una casa di cura: l'alzheimer non le sta lasciando scampo ed assieme la tiene
in vita e la uccide lentamente. La nonna ora è solo una testa fuori dalle
lenzuola, due occhi sempre sbarrati, una lingua frenetica che cerca saliva
anche fuori dalla bocca e qualche vocale in dialetto che ogni tanto a noi
ricorda la parola "amore" ma spesso ci sembra che anche lei dica
mamma.
Mi vergogno di andare a visitarla
così poco ed anche quel poco mi sembra nulla e fatico a venire via sapendo che
passeranno per lei altre ore interminabili, giornate lunghissime, forse mesi
prima di sentir raccogliere le sue vocali da qualche nipote.
Dicono che non morirà mai: qui dentro
è ben curata, tutte le analisi a posto, temperatura esterna ed interna ideali
per vivere a lungo. Così.
Ho in braccio il mio Matteo, poco
più di un anno.
Ad un certo punto ecco la magia
dell'incontro tra un neonato ed una persona malata incosciente. Matteo sembra
rispondere ai vocalizzi di nonna con le sue di vocali e pure nonna sembra
instaurare un dialogo fitto e sereno con lui: i due dialogano, parlano,
sembrano comprendersi più di noi.
Per qualche minuto osservo
attonito questo scena e mi viene in mente il richiamo evangelico: "se non
tornerere come bambini" ma ancor di più mi risuonano le parole di quel
professore che invitava a considerare gli ammalati in coma, o comunque in stato
di incoscienza, come dei neonati: "i neonati - diceva - non sappiamo cosa
pensano, cosa vogliono dire eppure ci fanno tenerezza e non li uccidiamo perchè
sappiamo che sono vivi: ecco, così le persone in coma vanno considerati come
loro".
La vedo poco la nonna di
Acquasanta ma quella manciata di minuti sono sempre un pugno alle mie certezze,
alle mie domande, al mio star bene però mai mi ha sfiorato il desiderio di
"farla fuori": come potrei pensarlo ora dopo il dialogo fitto con mio
figlio Matteo?
Giorgio Gibertini Jolly
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